L’architettura politica del mercato globale dovrà essere ridisegnata. Il modello aperto del dopoguerra sta cedendo di fronte a quello protezionistico creando una situazione instabile con una tendenza verso quello chiuso, cioè di frammentazione del mercato integrato mondiale in blocchi regionali e in meganazioni con marcati confini economici tra loro. Perché? La globalizzazione distruttrice di confini è stata sostenuta dal deficit commerciale statunitense entro una strategia di dominio mondiale basata sul commercio internazionale asimmetrico: tutte le nazioni hanno avuto il permesso di esportare in America senza che questa pretendesse la reciprocità. Ciò ha reso vantaggioso per le nazioni partecipare alla globalizzazione perché hanno potuto allo stesso tempo esportare e proteggere. Ma ha portato ad un impatto concorrenziale impoverente sulla società statunitense che ha fornito consenso all’offerta americanista e protezionista di Trump. Senza il motore americano la globalizzazione senza confini è terminata e bisogna trovarne un’altra che regga il ciclo internazionale del capitale al cui calo corrisponderebbe una duratura crisi mondiale. Soluzioni?
Nel 2020 l’esigenza di stabilità per la rielezione di Trump terrà l’America in postura di equilibrio tra nazionalismo e mondialismo. Ma vinca la sinistra o la destra il problema di ridisegno scoppierà nel 2021. Le ricerche demoscopiche, infatti, mostrano che l’elettorato statunitense è in maggioranza favorevole al libero mercato, ma anche contrario all’assenza di confini che assicurino protezione o comunque vantaggi differenziali. L’America non concederà. Nel quinto secolo a.c. la democrazia ateniese, dopo aver rimosso l’aristocrazia incline al panellenismo, dichiarò “Atene first”. Molti colleghi economisti si chiedono come mai la politica non riesca spiegare agli elettori i benefici della Teoria del commercio internazionale aperto (Smith, Ricardo). Sarebbe più realistico che si chiedessero come far funzionare un mercato internazionale in presenza di confini forti. Me lo chiesi nel 1995 nel libro con Luttwak e Tremonti “Il fantasma della povertà”: proposi un mercato integrato tra democrazie regolato da norme di fair trade. Nel 2001 (Sovranità & ricchezza) il lavoro con Paolo Savona generò la “Teoria del bilanciamento della sovranità economiche” contro l’idea irrealistica di loro soppressione. Lo scenario derivato implica un reticolo di trattati bilaterali simmetrici tra democrazie che poi evolva in una matrice integrata, ricostruendo una globalizzazione pur con confini. Questa è la nuova ricerca che serve.