L’immagine di un’Italia troppo vulnerabile al rischio sismico, idrogeologico, vulcanico e di tsunami avrà un impatto negativo crescente sul marchio territoriale, sugli indici di affidabilità finanziaria, sugli investimenti e quindi sul Pil. Finora l’esposizione di quasi 2/3 del territorio nazionale a eventi fisici estremi che possono eccedere il loro assorbimento senza danni non ha avuto conseguenze sui calcoli di rischiosità economica per la relativamente bassa, e concentrata localmente, frequenza degli impatti. Ora l’attività sismica continua nell’area appenninica sta portando le attenzioni degli attori economici a valutare il rischio territoriale, evidenziandone l’estensione. Il Giappone ha minimizzato con certa efficacia un problema simile attuando grandi programmi governativi di prevenzione, considerando che l’economia nipponica dipende meno da investimenti e flussi di turismo esteri di quella italiana. Il nostro governo sembra voler aspettare la fine dello sciame sismico in atto che amplifica il rischio percepito, per procedere con un piano solo selettivo di prevenzione, sostenibile dalla spesa pubblica. Comprensibile. Ma il criterio di calibrare la prevenzione in base ai limiti di spesa ha un’elevata probabilità di essere controproducente: un prossimo evento dannoso avrebbe un impatto simbolico/economico amplificato perché evidenzierebbe un gap costante di sicurezza sistemica. Pertanto sarebbe razionale avviare un maxiprogramma di riduzione totale della vulnerabilità del territorio in 15-20 anni: se credibile, ridurrà gli impatti comunicativi di eventuali emergenze di massa nel frattempo. Il programma dovrà essere necessariamente sostenuto da spesa pubblica pur con inserimenti di investimenti privati in alcuni settori. Da un lato, una prima stima del costo, quasi 2,5 trilioni in un ventennio, ne fa ipotizzare l’infattibilità. Dall’altro, un’economia di scala per gli interventi di sicurezza, l’impiego di nuove tecnologie e formule innovative d’ingegneria delle costruzioni e delle infrastrutture potranno ridurre di quasi l’80% questa somma. Inoltre tale programma diventerebbe un megainvestimento prolungato capace di spingere un boom duraturo di crescita e darebbe all’industria italiana un’esperienza tale da renderla competitiva per interventi nei circa sessanta Paesi con simili problemi, migliorando in generale il marchio Italia. Invito il governo a fare una simulazione che valuti la prevenzione come un investimento profittevole per il sistema, non come un costo secco, e a iniziarne a studiare l’architettura finanziaria. E la stampa a premere.