L’analisi dei linguaggi preliminari utilizzati dalla Commissione per annunciare il progetto di contrasto al cambiamento climatico e tutela dell’ambiente, “Green Deal”, mostra ambiguità e contraddizioni evidenti. Pochi osano esplicitarle in modi aperti e critici perché il “verdismo” porta consenso e promette 1.000 miliardi di investimento in un decennio. Ora, però, è arrivato il momento di precisare lo scopo dell’ecoprogetto, e conseguentemente l’allocazione (e produttività) delle risorse, perché sta per iniziare l’iter della sua definizione. In marzo la Commissione proporrà al Consiglio una legge sul clima, puntando ad inserire nelle norme europee l’obiettivo “emissioni zero” nel 2050. In giugno proporrà un piano d’azione per il finanziamento dei progetti verdi. In autunno ha l’intenzione di proporre un piano dettagliato di dimezzamento delle emissioni entro il 2030, da cui deriverà la scelta di allocazione selettiva di almeno 1.000 miliardi.
L’attuale concetto del progetto verde non distingue bene tra iniziative ecoprotettive e di decarbonizzazione. La priorità appare centrata sulle seconde, cioè sull’elettrificazione della mobilità e sulle fonti energetiche alternative mentre resta vago il quanto investire sull’ecoadattamento, cioè il rendere gli insediamenti capaci di resistere a nuove variazioni ambientali. Poiché la decarbonizzazione della sola Ue, visto che il resto del mondo non la sta seguendo, certamente non fermerà il riscaldamento planetario, sarebbe realistico mettere l’ecoadattamento tra le priorità. Ora così non è e ciò suscita la domanda: il “Green Deal” serve a finanziare con soldi europei l’industria nazionale tedesca e quella nucleare francese, nonché a creare standard speciali europei per motivare dazi sull’import sostenuti da un profilo di Ue come “potenza eco-etica” neutrale e diversa oppure a costruire una vera sostenibilità di fronte agli ecocambiamenti? Questo ed altro dovrà essere chiarito, in particolare per l’urgenza (non solo) italiana di nuove infrastrutture per il contenimento di alluvioni, frane, innalzamento del mare e superventi, protezione dell’agricoltura (rigenetizzazione adattativa?), tecnologie di microclimatizzazione, protezione epidemiologica, nuova urbanistica, ecc., al costo di almeno 7.000 – 12.000 miliardi in 40 anni. O si crede veramente che l’Ue fermerà da sola il cambiamento climatico? Basteranno, poi, solo 1.000 miliardi in un decennio per bilanciare il rischio di disastri industriali e occupazionali indotto da una sostituzione accelerata delle tecnologie tradizionali? Ecosvegliarsi ed ecoprecisare.