Geopolitica economica. E’ interesse nazionale primario dell’Italia che l’Ue partecipi ad un ampio mercato internazionale fluido senza barriere doganali, regolato da trattati di libero scambio, che includa nazioni compatibili (democrazie) sotto l’ombrello di un’alleanza militare integrata. Pertanto la politica estera italiana dovrebbe prendere una posizione nell’Ue – a cui le nazioni hanno delegato la negoziazione di trattati commerciali esterni - per siglare il prima possibile un accordo commerciale bilaterale che azzeri o minimizzi le dogane con il Regno Unito e gli Stati Uniti, ambedue in agenda, e valuti l’armonizzazione fra i trattati già siglati allo scopo di creare una matrice complessiva: il nuovo trattato tra Stati Uniti, Messico e Canada, quelli tra Canada stesso e Ue e tra questa e Giappone nonché tutti questi con il Regno Unito, uscito dalla delega all’Ue in materia, ed i suoi legami economici con il Commonwealth. Per poi allargare la matrice complessiva alle democrazie asiatiche e sudamericane. In prospettiva, si formerebbe così un mercato globale fluido con standard adattati ai modelli democratici equivalente a più dei 2/3 dell’economia mondiale e almeno il 65% dei flussi commerciali planetari. La governance sarebbe affidata ad un G7 allargato che chiamerebbe l’integrazione tra Nato ed altre alleanze militari regionali e la convergenza tra le monete coinvolte per ovvii motivi di stabilità delle relazioni di mercato. Questa è una bozza di scenario ideale per l’Italia: entro questa matrice potrebbe sviluppare meglio il suo potenziale di export, invertendo grazie a questo l’impoverimento interno, entro un’alleanza tra Stati – incollata dal reciproco vantaggio economico - che ha il dominio del pianeta, considerando che nello scenario stesso la Cina, esclusa, sarebbe minimizzata, l’India gradualmente integrata e la Russia, che persegue lo status di impero, dovrebbe necessariamente convergere in qualche modo. Il punto: la speranza di costruire questa Nova Pax come successore più solido ed ampio della Pax Americana dipende dalla formazione di un nucleo euroamericano che a sua volta implica la convergenza tra Ue, Stati Uniti e Regno Unito. E’ interesse di Roma fare tutto il possibile per facilitarlo.
Prima che il lettore ridicolizzi l’attribuzione di rilevanza all’Italia per un ruolo globale nel momento in cui non ha rilevanza lo prego di considerare che la debolezza nazionale dipende dall’autolesionismo e provincialismo politico italiano e non da fattori di scala e potenza economica: se Roma volesse, evidentemente con una conduzione politica diversa da quella attuale nonché più professionale, potrebbe benissimo influenzare.
Possibili ostacoli. Londra, liberata dai vincoli e per almeno 5 anni dal socialismo, persegue l’obiettivo di diventare una zona franca liberalizzata per attrarre tutto il business e la finanza globali in cerca di massima efficienza, cioè il modello Singapore. Ciò implica una concorrenzialità eccessiva che impedisce accordi di libero scambio simmetrici ed equilibrati. Se l’Ue non riuscirà a trovare un compromesso tra la necessità di efficienza attrattiva di un’isola e relazioni economiche equilibrate, Londra potrebbe accettare l’integrazione offerta dall’America che non ha problemi di impatto competitivo essendo più o altrettanto efficiente. Ciò porterebbe ad un’anglosfera contrapposta all’Ue che spaccherebbe il ponte atlantico? Il rischio c’è. Molti non lo danno per probabile perché Londra vorrebbe relazioni privilegiate con la Cina e con l’Asia incompatibili con l’America. Ma se l’Ue fosse troppo rigida, Londra dovrebbe affidarsi all’America che non esclude maniere forti per comprimere Francia e Germania qualora portassero l’Ue verso una posizione di terza forza globale divergente. Pertanto, semplificando, il primo obiettivo dell’influenza italiana nell’Ue è spingerla verso un compromesso ben accettabile da Londra che renderebbe più incline l’America ad accettare accordi con l’Ue. In questo senso Londra è chiave.
La Germania tende ad avere una posizione compatibile con l’interesse italiano, ma la Francia persegue l’obiettivo di un autarchismo europeo franco-centrico post atlantico che, per esempio, ha impedito la soluzione più semplice della Brexit: negoziare il trattato di re-inclusione commerciale in parallelo a quello di divorzio. Parigi vuole ridurre la convergenza atlantica per esercitare più liberamente il suo (illusoriamente presunto) potere continentale. Sarebbe una fesseria autolesionista se l’Italia convergesse, in sottomissione, con Parigi come alcuni nell’attuale governo tentano di fare. Roma, invece, dovrebbe iniziare un dialogo bilaterale con Berlino per concordare il ripristino del ponte atlantico. Non sarà facile perché la Germania è divisa e frastornata dalla sua crisi economica e politica interna nonché riluttante a rendere esplicita la divergenza, per altro crescente, con la Francia. Ma Roma deve tentare perché la salvezza dell’Italia è connessa con la formazione di un mercato globale delle democrazie a partire da un nucleo atlantico. E se si muove potrà indurre pensieri realistici negli altri europei che, in maggioranza, hanno lo stesso interesse: l’Ue ha senso solo se estroversa