L’ecosummit Cop 25 a Madrid ha confermato, pur indirettamente, uno scenario che indica come sempre meno probabile il contenimento dell’aumento della temperatura media del pianeta entro una soglia che eviti – tra decenni, ma con possibili disastri prima - sia un innalzamento catastrofico del livello del mare sia fenomeni atmosferici estremi. Il punto: la quantità di emissioni serra, che la visione standard delle scienze di settore, pur contrastata da molti ricercatori, valuta come causa primaria del riscaldamento, sta aumentando e non riducendosi come promesso dai governi. Gli obiettivi di de-carbonizzazione dell’Ue, che è all’avanguardia nel mondo sul piano degli ecostandard (nominali), non sono stati raggiunti. La Cina, pur ecoingaggiata, sta aumentando il ricorso al carbone per la produzione di energia. L’America si è disingaggiata, pur nazione che più controlla sul serio gli standard di ecosostenibilità. La Russia percepisce enormi vantaggi dal possibile aumento delle temperature nell’Artico. Il resto del mondo persegue uno sviluppo tradizionale indifferente - nei fatti anche se non nelle parole - all’allarme ambientale. In molte nazioni sta emergendo un approccio ecopragmatico: adattiamoci al cambiamento climatico piuttosto che scommettere sulla possibilità di bloccarlo. Come? Preparando piani decennali di artificializzazione del territorio per difendere dalla penetrazione del mare e da fenomeni estremi le aree vulnerabili. Ciò avviene senza enfasi per evitare reazioni demonizzanti da parte dei movimenti verdi, ormai massa elettorale rilevante nelle democrazie, che sostengono con fede assoluta la possibilità di evitare il riscaldamento globale. Il Segretario generale dell’Onu ha riconosciuto l’inefficacia di tale posizione, ma ha invocato una più rapida applicazione della stessa, cadendo nell’errore pericoloso di sostenere con la legittimità dell’Onu un’ecostrategia illusoria.
Soluzioni. Va generato un nuovo ecorealismo. Il concetto di sostenibilità dovrà essere rielaborato includendo l’ecoadattamento attraverso l’artificializzazione dei territori, cioè la loro infrastrutturazione per renderli indipendenti dai mutamento climatici: viabili sia in caso di caldo sia di glaciazione nonché di impaludamento o desertificazione. L’indipendenza crescente tra ambiente costruito e naturale renderà possibile limitare il conflitto tra capitalismo e ambientalismo nonché minimizzare gli ecodisastri. In sintesi, la soluzione è generare un’ecologia artificiale che sostituisca sia l’illusorio ambientalismo ecoconservatore sia l’econegazionismo.