L’interesse prioritario dell’Italia è ottenere lo status di zona sicura da parte degli investitori internazionali. Ora non lo è. Ne è prova che al verificarsi di qualche evento, anche lontano e/o de-correlato, che induce gli attori del mercato finanziario globale a ridurre la propensione al rischio, i flussi di capitale mostrano comunque un’uscita dall’Italia o rinuncia ad entrarvi (con l’eccezione di operazioni selettive di private equity stimolate da sconto e dall’ottima qualità delle aziende italiane). Tale fenomeno è parzialmente bilanciato dal premio di rischio elevato offerto dalle emissioni di titoli di debito in combinazione con l’effetto di garanzia implicita fornita dall’appartenenza all’Eurozona. Ma non è sufficiente per rendere l’Italia zona sicura sia per l’incompletezza del prestatore di ultima istanza nell’area monetaria sia per gap di ordine e sviluppo interni. Ora nell’Ue c’è un movimento che tende a rafforzare il primo, pur in modi e quantità ancora insufficienti, mentre non c’è alcun segnale di politiche italiane che promettano di aumentare la crescita e ridurre il debito. Ovviamente nel processo europeo di condivisione dei rischi l’Italia in tali condizioni ne presenta uno maggiore e induce le altre nazioni a condizionarla, cioè ad imporre azioni ordinative che aumentano il rischio di penalizzazioni e di peggioramento della sicurezza finanziaria residente. Tante voci si sono levate per raccomandare al governo di mettere il veto o rinviare la nascita del nuovo Meccanismo europeo di stabilità (Esm) e/o di pretendere un parallelismo tra questo e il negoziato sull’unione bancaria. Ma chi pensa e dice così sbaglia, anche considerando gli impegni già presi nel giugno scorso: se l’Italia se li rimangiasse formalizzerebbe il suo fallimento mentre nella realtà ne è lontana. Infatti la probabilità di insolvenza è minima e conseguentemente quella di dover ricorrere a salvataggi esterni a condizioni capestro. Ma Roma dovrà comunque correre un rischio. Come ridurlo?
La politica italiana potrebbe segnalare il pericolo di maggioranze eurodivergenti se la pressione condizionante apparisse troppo forte. Ma sarebbe una strategia sbagliata. Quella giusta, invece, è varare un progetto di de-debitazione sovrana attraverso un’operazione patrimonio pubblico contro debito, conferendo il primo a un Fondo italiano di bilanciamento affinché il secondo possa essere ridotto di almeno 400-500 miliardi sui 700-800 disponibili. Migliorerebbero molto e rapidamente il rating e la forza negoziale dell’Italia, portandola più vicina allo status di zona sicura.