Lo sospettavo da tempo, oggi ne ho indizi così forti da porre all’attenzione pubblica l’idea di creare un megafondo gestito dall’Ue, caricato di denari statali, con la missione nominale di finanziare l’adeguamento tecnologico di tutta l’industria europea, ma quella sostanziale e selettiva di potenziare l’innovazione competitiva dei sistemi nazionali francese e tedesco utilizzando i soldi degli altri. Il rischio: l’Italia sarebbe chiamata ad essere il terzo più grande contributore di un tale fondo, ma ne ricaverebbe solo le briciole e, conseguentemente, il suo sistema industriale sarebbe indebolito e facile preda per aziende francesi e tedesche rafforzate da extracapitalizzazione. Da un lato, l’idea del megafondo Ue di investimento è necessaria per colmare il gap tecnologico crescente delle produzioni europee in alcuni settori chiave in relazione a quelle statunitensi e cinesi. Dall’altro, c’è il pericolo che l’Italia venga trattata come vacca, prima, da mungere e, poi, da macellare.
Parecchi lettori, da mesi, mi chiedono perché ho spesso raccomandato accordi bilaterali extra-Ue con l’America e il Regno Unito in materia di tecnologie di difesa e programmi (aero)spaziali, motore principale, anche se non unico, dell’innovazione tecnologica civile. Il motivo è che avevo annusato un rischio di deindustrializzazione per l’Italia nell’intensità con cui Parigi stava premendo per la creazione di una Difesa europea francesizzata sul piano dell’industria militare e nell’accettazione, dopo un periodo di riluttanza, da parte della Germania di creare un programma franco-tedesco per la costruzione del cacciabombardiere di sesta generazione e di rinunciare all’acquisto della piattaforma aerea statunitense F 35 - di quinta generazione e mezza ma con ampie capacità evolutive – per altro assemblata nell’impianto italiano di Cameri e adottata da Regno Unito ed Italia. La risposta anglo-italiana è stata il progetto Tempest anche perché erano forti i segnali che il progetto franco-tedesco voleva escludere, oltre che Londra, anche l’Italia ed includere la Spagna che, per inciso, fa di tutto per sostituire l’Italia stessa come terzo partner della diarchia franco-tedesca. I contorni del Trattato di Aquisgrana tra Francia e Germania, poi, hanno confermato il loro accordo per dominare l’industria continentale. La Francia ha preso una posizione di depotenziamento di Londra complicando la Brexit – che diventerebbe impercettibile con un accordo di libero scambio parallelo al negoziato di divorzio – non solo per dissuadere altri europei a smarcarsi, ma per marcare la posizione di unico potere nucleare Ue da cui derivare il motivo, appunto, per la francesizzazione della Difesa europea e conseguente enorme vantaggio industriale finanziato dagli altri europei. Va aggiunta l’analisi del contratto Fincantieri con Naval Group: voi italiani fate bene gli scafi e ve li lasciamo fare dandovi la maggioranza dei cantieri francesi Stx, ma condizionata ad un accordo per cui sarà l’industria francese a metterci armi ed elettronica, dove risiede il maggiore valore aggiunto, con privilegio sostanziale, anche se non formale, contro l’Italiana Leonardo che, se indebolita, diventerà finalmente preda. Tale contratto è un’anticipazione di come è vista l’Italia nei centri strategici francese e tedesco: lasciamole la carpenteria metallica, ma eliminiamone il potenziale competitivo e la concorrenza nell’alta tecnologia. Se il lettore recupera i tanti articoli scritti in queste pagine da Claudio Antonelli su tali materie e sugli strani incidenti capitati recentemente ad aziende italiane nel settore spaziale, troverà dettagli impressionanti. In sintesi, ho raccomandato accordi tecnologici extra-Ue per mostrare che l’Italia ha un’alternativa qualora fosse troppo compressa dai franco-tedeschi allo scopo di o ottenere di più entro l’Ue oppure agganciarsi realmente a Stati Uniti, Regno Unito e Giappone anche perché più evoluti industrialmente degli europei nei settori tecnologici di punta. Ma tale raccomandazione era diretta al governo precedente accreditato, pur nella sua difficoltà a produrre strategie, della capacità di fare questa mossa negoziale.
Ora c’è un governo euroconvergente a priori che fa sospettare una posizione succube all’interesse franco-tedesco travestito come “europeo”. Pertanto appare probabile il seguente scenario. All’Italia verrà chiesto di contribuire per un tot (forse decine) di miliardi al megafondo. Per facilitarla e farle accettare che non riceverà in cambio investimenti equivalenti le verrà concesso un extradeficit, cioè più indebitamento, per finanziare il consenso del governo con politiche assistenziali e simili, nonché qualche soldo per investire su settori di serie B e una partecipazione ai programmi di alta tecnologia che però escluda una concorrenzialità delle aziende italiane, a meno che il governo non favorisca la loro acquisizione. L’ipotesi è l’incatenamento dell’Italia affinché il suo robusto potenziale tecnologico non cerchi partner extra-Ue combinato con la compressione competitiva e convergenza forzata con l’asse franco-tedesco via ricatto al riguardo della quantità di debito eurogarantita (di fatto) e correlato valore dello spread e del “rischio Italia”. Lo si potrà evitare pretendendo, almeno, che tutti i soldi dati dall’Italia ai fondi Ue, per altro a debito come successo nel salvataggio della Grecia, tornino come investimenti sulle aziende e infrastrutture italiane chiave per la competitività tecnologica residente. Non voglio accusare il governo prima di vederne le azioni, ma il rischio per l’economia nazionale è tale da invocare un loro monitoraggio attentissimo e chiedere alla stampa, forze politiche e industriali più consapevoli di dotarsi della capacità tecnica di attuarlo