Il mondo sta cambiando con velocità impressionante. Cicli millenari, secolari e di qualche decina di anni sul piano geopolitico, economico, tecnologico e sociale stanno convergendo tutti verso un punto di discontinuità (la singolarità) raggiunto il quale tutto il mondo stesso sarà diverso. Il ciclo, avviato nel 16° Secolo della superiorità assoluta occidentale nel pianeta sta esaurendosi per il (ri)emergere dell’Asia. La quarta rivoluzione industriale (digitalizzazione) è in relazione di discontinuità con la terza – e sta massacrando le aziende rimaste nella terza stessa – e anticipa, via un passaggio veloce attraverso la quinta (computer quantici) e la sesta (intelligenza artificiale semi-autonoma) un salto verso la settima, cioè la fusione tra nanotecnologie, biologia e informatica. Di fronte al cambiamento discontinuo il pensiero occidentale soffre di una vulnerabilità originaria: la filosofia greca, semplificando, mostrava orrore per l’infinito e, in particolare, temeva l’irruzione del divenire o negandolo (Parmenide) o cercando ossessivamente una verità stabile (l’episteme). Il pragmatismo adattivo e creativo ha certamente modernizzato il pensiero occidentale, ma in questo è ancora rilevante la paura del cambiamento che porta anche a non vederlo o sottovalutarlo. In sintesi, c’è un rischio di estinzione per le unità politiche ed economiche che restano prigioniere dell’inerzia.
Riportiamo all’Italia lo scenario generale. Fino a 10 anni fa se ne stava comoda e passiva nell’Ue, nella Nato e si arricchiva con un sistema industriale per lo più specializzato in forniture di componenti all’industria tedesca. Nel 2010-11, le alleanze tradizionali si sono rivelate non più moltiplicatori della piccola potenza nazionale, ma fonti di danno. Per esempio Libia, recessione devastante a causa di rigore non necessario e sostituzione esterna del governo, casi questi dove i maggiori alleati dell’Italia diventarono nemici: Francia e Germania molto, l’America no, ma comunque non più protettiva. Il ciclo della tutela statunitense degli alleati durante la Guerra fredda era terminato e iniziava quello del progetto francese, per altro avviato da De Gaulle nel 1963, di guidare un’Ue post-Nato come terzo impero tra America e Cina, con una Germania complice silenziosa e furba e la necessità di allineare l’Italia. E Roma oggi si trova ancor più compressa perché è in una situazione oggettivamente difficile, ma peggiorata dalla persistenza di un europeismo ascaro e lirico del passato che non ha più ragione di esistere perché l’Ue non è più una Comunità, ma un tentativo egemone di Francia e Germania. In tutti i nuovi programmi tecnologici-industriali europei si osserva il progetto di dominio franco-tedesco e la volontà di escludere l’Italia o includerla, come la Spagna ha accettato, in ruoli minori. In sintesi, la natura politica dell’Ue è cambiata in una direzione che comporta un impoverimento industriale per l’Italia. Rischio amplificato dal fatto che l’industria tedesca sta cambiando. Per esempio, quante componenti tradizionali assorbirà il settore dell’auto dopo la decisione di passare totalmente all’elettrico? Certamente di meno. E così in almeno una decina di settori portanti dell’export italiano. La crisi del manifatturiero ora evidente non è solo una contingenza, ma anche conseguenza della fine di un ciclo del mercato. Pertanto l’Italia deve ripensare totalmente la sua strategia di collocazione internazionale. Non si tratta solo di dare uno stimolo fiscale all’economia, necessario, ma di attuare una geopolitica economica che tenga conto dell’esaurimento dei vecchi cicli e permetta all’Italia di trovarsi meglio nei nuovi. E’ difficile, ma non impossibile. Prima di tutto, bisogna intercettare il nuovo ciclo geopolitico globale. L’America è in guerra con la Cina e a caccia di alleati in un contesto di divergenza dell’Ue. Roma dovrebbe proporre a Washington un trattato bilaterale di difesa comune e collaborazione nell’industria militare, in particolare spaziale. E’ un rischio, l’Italia dovrà mandare truppe e mezzi nel mondo, ma senza questa leva sono a rischio i settori di punta dell’industria tecnologica residente. Dovrà anche trovare un compromesso con Francia e Germania, imparando a inserirsi nei loro litigi, per mantenere nell’Ue la capacità sia di vietare disegni post-Nato sia di controllare che i trattati commerciali dell’Ue vengano fatti senza danni per l’economia italiana, in particolare nel settore agroalimentare. Poi bisognerà trattare seriamente con il Giappone sul piano delle relazioni tecnologiche ed industriali. Mi fermo qui sperando che sia chiaro il motivo per non pensare come nel passato - includendo gli imprenditori che dovrebbero chiedere alla politica non solo facilitazioni fiscali, ma anche incentivi per ingrandire le aziende allo scopo di globalizzarle – e segnalando che per questa ricollocazione complessiva dell’Italia nel mondo ci vuole una direzione strategica sostenuta da un “Consiglio nazionale di sicurezza”, che includa quella economica e tecnologica. Futurizziamoci, rileggiamo Cavour