Ho una domanda per Sergio Mattarella: a quali condizioni è legittimo l’incarceramento di soggetti che non pagano le tasse? Ebbi l’occasione di porre la medesima domanda durante un seminario dell’Arel al costituzionalista Leopoldo Elia, nei primi anni ’90, dove Beniamino Andreatta guidava una raccolta di opinioni su come riordinare l’Italia in vista della futura euroconvergenza compromessa da un debito enorme e inabilitante. Ipotizzai tre condizioni sistemiche, una costituzionale esterna al codice penale - ma che avrebbe dovuto ispirarne l’evoluzione - e due di buona prassi: 1) elezione il più diretta possibile del potere esecutivo e meccanismo maggioritario per l’elezione del legislativo allo scopo di rendere chiara una maggioranza e relativo indirizzo; 2) applicazione del principio di massima efficienza della spesa pubblica, cioè di riduzione degli sprechi; 3) applicazione del principio di “produttività della spesa pubblica”. Il punto: un governo e maggioranza pienamente legittimati dal voto e che agiscono credibilmente secondo i criteri di buona prassi detti possono pretendere una dissuasione via sanzioni penali pesanti contro chi intenzionalmente evade gli obblighi fiscali. Ma se la prima condizione non è rispettata viene disatteso il principio legittimante della pretesa fiscale dello Stato: la tassa non può essere imposta ad un soggetto se questo non è rappresentato (no taxation without representation). Ora in Italia tale condizione è rispettata in modo troppo labile e quindi il “contratto fiscale” è incompleto. Ciò genera un potenziale (meta)diritto ad evadere le tasse per gap di rappresentanza. Che viene ampliato sia dall’evidenza di sprechi sia di non applicazione del criterio di produttività della spesa pubblica. Nonché dall’eccesso del carico fiscale in assoluto e in relazione alla qualità dei servizi pubblici.
Per inciso, nella riunione detta sopra Elia respinse la mia provocazione, ma Andreatta concordò con la necessità di mettere mano al contratto fiscale nazionale in correlazione con il meccanismo elettorale. E nell’approfondimento emerse una realtà che ancora oggi bisogna considerare, motivo di questa citazione remota: sotto la pressione dei comunisti negli anni ‘70 la Dc aveva accettato più protezionismo sociale finanziato con tasse crescenti, ma per non perdere l’elettorato imprenditoriale e dei professionisti aveva mantenuto laschi la vigilanza fiscale e il regime sanzionatorio. Quel seminario mi è rimasto in mente per il bagno di realismo – in acqua fangosa - quando un politico meridionale, di peso, disse, circa: per restare in Europa dobbiamo ridurre la spesa in deficit, ma come faccio io a contrastare il reclutamento dei miei elettori da parte della criminalità se non posso più dare loro favori clientelari e nell’area non c’è il mercato come al Nord? Togliamo loro i controlli fiscali disse un altro di peso. Cioè in Italia è stato in vigore per decenni, con residui non irrilevanti ancora oggi, un diritto di fatto ad evadere allo scopo di rendere meno pesante l’impatto depressivo di tasse crescenti nel Nord e permettere la sopravvivenza al Sud. Non è motivo di innocenza, ma certamente lo è di riflessione approfondita prima di parlare di carcere per gli evasori: bisogna cambiare e risanare molte cose prima di poterlo rendere sia giusto sia legittimo.
Tale consapevolezza, però, è oscurata dall’idealismo fiscale che in realtà è un metodo di semplificazione autoritaria, colpevolmente non criticato o svelato dal più dei facitori di opinione: chiunque è al potere tassa quanto vuole e se qualcuno sfugge è un criminale. Socrate preferì accettare la morte per rispettare la “legge” intesa come un’astrazione a cui si doveva ubbidire in modo assoluto (Platone). Aristotele, invece, avrebbe detto: se la legge è giusta, allora devi ubbidire e pagare le conseguenze della violazione, ma se non lo è hai diritto a ribellarti. Quando è giusta una legge? Tralasciando aberrazioni e considerazioni liberali sulla dittatura della maggioranza in relazione all’individuo, in democrazia lo è quando una chiara e netta maggioranza la scrive. Quando è giusta una norma fiscale? Quando il gettito è gestito con buone prassi. In Italia tali condizioni aristoteliche non sono rispettate. Infatti un cittadino è nel pieno (meta)diritto di dire: pagherò tutte le tasse quando sarò sicuro che chi conduce lo Stato usi bene i miei soldi. Tale cittadino sarebbe carcerabile?
Con questo argomento non voglio sollecitare una rivolta fiscale perché una caduta del gettito o ribellioni di piazza indebolirebbero ancor di più la già minima reputazione economica della nazione a causa dell’enorme debito combinato con poca crescita (il recente rapporto del Fmi sull’Italia è umiliante: decenni di incapacità). Ma voglio segnalare alla politica che prima di rendere legittimo un regime fortemente repressivo contro l’evasione, appunto, bisogna cambiare sistema elettorale, permettendo agli elettori di esprimere in modo netto e il meno mediato possibile, pur mantenendo il modello di rappresentanza delegata, una maggioranza ed un esecutivo nonché garantire gli elettori sulla buona gestione della spesa pubblica. L’America mette in carcere gli evasori, ma elegge direttamente il potere esecutivo e separatamente quello legislativo per bilanciare il primo e cerca di attuare prassi di spesa pubblica controllate e trasparenti. Chiedo a Mattarella di valutarlo.