L’Amministrazione Trump sta vivendo un dilemma: se attacca l’Iran si espone a rischi incontrollabili sia militari sia economici, ma se non reagisce all’attacco iraniano contro l’Arabia si dimostrerà “tigre di carta”, incentivando i nemici a provocarla sempre di più e gli alleati a fidarsi sempre di meno delle sue offerte di protezione. Gli attori di mercato stanno cercando di capire se scontare una crisi recessiva globale per motivi bellici o meno. Al momento è probabile che non vi sia una reazione destabilizzante: forse una ritorsione limitata o una intensificazione delle sanzioni. Ma potrebbe succedere il peggio sia perché a Washington i falchi premono per l’azione dura sia perché le potenze avversarie hanno annusato la riluttanza statunitense ad ingaggi militari, incentivandole ad insistere con provocazioni. Una parte dei Taliban afghani ha aumentato recentemente gli attacchi mentre un’altra stava trattando il ritiro statunitense, la prima stimolata dall’esterno. Così come in Iran le Guardie della rivoluzione hanno attuato l’attacco mentre le forze moderate stavano riservatamente avviando, via Francia, negoziati con l’America. Non c’è prova, ma non si può escludere, perché tipico gioco strategico, che la Cina – Mosca al momento è ferma - sia interessata a tenere l’America sotto pressione nonché le sue portaerei a tiro di missili operati da milizie proxy, probabile motivo di prudenza da parte del Pentagono. Trump sta cercando di modificare la sua strategia per uscire dalla trappola: dall’unilateralismo escludente a maggiori aperture collaborative agli alleati, rimozione del falco Bolton, toni leggermente più morbidi in generale, ecc. Ma, pur forse comprendendo finalmente di aver attuato strategie poco pensate, non può fare marcia indietro di colpo. Ciò crea un problema di stabilità globale non solo contingente, ma “strutturale”.
Soluzioni? L’obiettivo è evitare escalation. Per raggiungerlo bisogna dare una vittoria a Trump che lo incentivi a tenere i conflitti a bassa intensità. Tale vittoria può essere offerta dall’Ue accettando, a novembre, un trattato bilaterale di libero scambio con l’America che porti ad un certo riequilibrio commerciale in modo che possa usarlo per la sua campagna elettorale, nonché un ausilio europeo alla dissuasione contro l’Iran. Costerà un po’, ma bisogna considerare che la Cina è pronta ad offrire una vittoria economica corredata da aiuti per la questione iraniana e che all’Ue conviene anticiparla anche per non restare stritolata e difendere la possibilità futura di ricompattare l’alleanza tra democrazie.