Il nuovo governo non ha messo in priorità la riduzione del debito pubblico. Ciò segnala che perseguirà la sola riduzione del costo del debito stesso per ampliare il deficit offrendo la piena euroconvergenza politica dell’Italia in cambio del permesso a farlo. Nel breve termine sarà un sollievo. Ma poi continuerà la debolezza dell’Italia perché, vista l’impostazione programmatica confusa, è probabile che la quantità di debito non verrà bilanciata da crescita sufficiente. Conseguentemente l’Italia resterà zona non del tutto sicura per i flussi di capitale. Oppure, per diventarlo, potrebbe essere forzata a ridurre il debito via tasse patrimoniali depressive. Il problema di fondo è che l’Italia ha mantenuto la sovranità sul debito, ma la ha ceduta sui mezzi per ripagarlo (bilancio, moneta e cambio) senza ottenere in cambio strumenti che le permettano di mettersi in ordine con procedure non impoverenti. Ue e Commissione hanno interesse a dare flessibilità all’Italia, ma anche limiti. Pertanto resta la necessità di un’operazione sovrana di de-debitazione. I politici non la contemplano perché non riescono a vederne la fattibilità con metodi non-recessivi e scelgono la via facile di contenere il costo del debito via euroconformismo. Ma la scelta giusta è quella di insistere a cercarla.
Cosa ricercare? Una precisazione in generale e specifica per l’Italia della teoria standard che un debito si riduce con crescita. L’ipotesi è che oltre un certo livello il costo del debito e l’avanzo primario forzato, in assenza di sovranità monetaria e di bilancio, impedisca l’innesco della crescita e che per l’Italia tale soglia sia tra il 70 e l’80% del Pil. Conseguentemente, non basta ridurre il costo, ma anche la quantità. Di più se l’inflazione resta compressa dalla rivoluzione tecnologica. La partecipazione positiva all’Eurozona implica una riduzione sovrana del debito per evitare il ricorso ad una politica monetaria che, per ridurre i costi delle nazioni ad alto debito, comporti rendimenti negativi per i titoli di quelle più virtuose, destabilizzando l’intero eurosistema. Pertanto l’Italia dovrebbe convertire i circa 700 miliardi - in 30 anni, per dire - di patrimonio pubblico (immobili, partecipazioni e concessioni nazionali e locali) in cassa contro-debito, con una formula credibile – anche perché non recessiva - che permetta l’effetto anticipato di una profezia ordinativa. Queste soluzioni, oltre a quelle molto evolute suggerite dal Prof. Savona, e collegate saranno i temi di ricerca per un “Club del numeratore” che si sta costituendo in questi giorni.