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Carlo Pelanda: 2019-6-30La Verità

2019-6-30

30/6/2019

L’Ue sarà punto chiave nel conflitto tra America e Cina

La “tregua armata” tra America e Cina siglata da Donald Trump e Xi Jinping in occasione del vertice bilaterale nel contenitore del G20 a Osaka era scontata: la minaccia di sanzioni statunitensi su altri 300 miliardi di export cinese, oltre ai 200 che restano “superdaziati”, è stata sospesa in attesa di un ulteriore ciclo negoziale. Per ambedue, infatti, è utile una moderazione temporanea del conflitto: Trump non può permettersi l’effetto depressivo di una guerra commerciale a poco più di un anno dalle elezioni presidenziali così come Xi rischierebbe la defenestrazione in caso di peggioramento della crisi economica in atto a causa di un blocco dell’export. La Cina, infatti, è in fase di “sbolla” da sovracapacità con un buco finanziario oltre il 250% del Pil, per inciso motivo di repentino definanziamento e riduzione del progetto “Via della Seta” per coprire il buco stesso. La tregua resta “armata” perché la Cina non potrà mai concedere quello che l’America chiede – in particolare riforme di modello interno che ridurrebbero la presa del Partito comunista su banche e imprese -   e l’America stessa, anche in caso di post-Trump, non potrà/vorrà lasciare spazio a Pechino per consolidare il suo potere sul piano globale, idea condivisa sia a destra sia a sinistra.

Pertanto la guerra tra i due continuerà. Come? Il centro strategico di Xi vuole mostrare sia resistenza alla pressione statunitense sia convincere l’America a condividere in modo “isotopico” il dominio del pianeta. Qui c’è una novità, per nulla scontata: a Osaka Xi ha citato la diplomazia del ping pong degli anni ’70 che portò alla fine della guerra del Vietnam e ad un avvicinamento tra America e Cina che ruppe l’alleanza della seconda con l’Unione sovietica, contribuendo notevolmente alla sua implosione. Nelle comunicazioni interne Xi ha anche enfatizzato che è iniziata una nuova “Lunga marcia” per resistere all’imperialismo americano per poi sconfiggerlo nel lungo termine. La strategia cinese precedente formulata da Deng Xiaoping nel 1978 aveva i seguenti punti: diventare più ricchi dell’America, sfruttandone il sostegno e semiliberalizzando il sistema interno pur sotto il controllo ferreo del partito, per poi espellerla dal Pacifico. Poi la strategia è evoluta dandosi come obiettivo un’influenza globale indiretta per favorire una diretta sulla regione asiatica allo scopo di dominare la più grande area economica del pianeta e grazie a questo diventare prevalente nel G20, con celebrazione nel 2049, centenario della vittoria comunista, della sinosuperiorità mondiale. Ora, vista la reazione statunitense, Pechino sta tentando di offrire all’America una condivisione G2 del potere mondiale. Da un lato, nel lungo termine, la Cina è favorita dalla sua scala. Dall’altro, gli strateghi cinesi hanno probabilmente rilevato che l’America ha la capacità di bloccare lo sviluppo cinese, ancora acerbo sia come capacità di sostenere la crescita con investimenti e consumi solo interni e distante almeno 15 anni tecnologia dalla speranza di poter superare militarmente l’America, pur potendole già far male, per esempio i missili ipersonici anti-portaerei. L’America non potrà accettare apertamente tale offerta per i motivi di nemicizzazione detti sopra. Tuttavia, gli strateghi statunitensi – e quelli cinesi li sollecitano a guardare -  osservano con preoccupazione che l’Ue, zitta zitta, sta diventando la più grande area di libero scambio del pianeta attraverso accordi bilaterali molteplici e strutturati – venerdì scorso è stato avviato quello con il Mercosur oltre alle decine di altri già in vigore o in studio -  al punto da creare un mercato eurocentrico capace di definire gli standard globali in un clima geopolitico dove molte nazioni hanno dovuto agganciarsi all’Ue come alternativa alla pressione sanzionatoria statunitense. In sintesi, l’Ue ha il potenziale per diventare un attore globale e Il progetto macroniano ha proprio questo scopo: una sovranità europea post-Nato come terza potenza alla pari con Cina e America. Ma tale scenario favorirebbe la vittoria finale e globale della Cina e del capitalismo autoritario contro quello democratico perché, se Europa e America divise, il mondo delle democrazie sarebbe debole. Pertanto l’Ue dovrebbe far convergere il proprio potenziale con quello statunitense. La Germania, pur con vocazione neutralista-mercantilista, teme una divergenza con l’America. L’Italia dovrebbe usare questa diversità tra Parigi e Berlino per mettere il suo peso accanto alla seconda in direzione di ri-convergenza euroamericana, per togliere la tentazione all’America sia di fare un accordo spartitorio con la Cina sia di spaccare l’Ue per toglierla di mezzo ed incorporarne il potenziale nel confronto diretto con la Cina stessa, con danno per gli europei. Suggerisco di inserire tale criterio nel gioco delle nomine europee: sarebbe pericoloso un francese o influenzabile da Parigi come Presidente di Commissione. Va scelto qualcuno favorevole al trattato commerciale e di rinnovo dell’alleanza con l’America. In conclusione, alla domanda di come finirà il conflitto sinoamericano nel lungo termine la risposta, che spero non sorprenda troppo, è: dipenderà molto dall’Ue e quindi anche dalla capacità dell’Italia di influenzarla in direzione pro-atlantica, sperando che gli europei ritengano più importante la vittoria di un’alleanza globale di democrazie grande abbastanza per condizionare la Cina piuttosto che una loro frammentazione perdente.

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