La composizione del Parlamento europeo è rilevante, ma i giochi di potere tra Stati per conquistare un indirizzo favorevole dell’Ue si concentrano sulla nomina del Presidente della Commissione, nonché di commissari in funzioni chiave, e della Bce. Il tavolo di gioco ha una regola: il potere reale delle grandi nazioni non può essere trasferito direttamente nelle istituzioni europee, ma deve essere limitato – formalmente – da un criterio di bilanciamento nonché di alternanza – in base alla cittadinanza – delle cariche apicali. Tale architettura fu costruita, con notevole capacità strategica, per combinare due obiettivi contradditori: creare un dominio regionale francese - cioè l’idea di Charles De Gaulle (1963) di usare una costruzione europea come moltiplicatore di una potenza nazionale ridotta dalla perdita delle colonie e dall’emergere di nuovi imperi - e allo stesso tempo rendere vantaggiosa la partecipazione delle altre nazioni a tale disegno, dando un privilegio alla Germania che poi ha invertito il potere nella diarchia, secondarizzando la Francia. L’Ue, infatti, potrebbe essere definita – e io lo faccio nelle lezioni del Dottorato di ricerca in Geopolitica economica - come “Impero inclusivo”, con al centro Germania e Francia e con metodo di auto-annessione consensuale da parte di altri Stati. Per l’Italia il problema è che si trova in posizione economicamente scomoda da quando – con la nascita dell’euro - il bastone di comando è più decisamente passato, per errore francese, nelle mani della Germania. Berlino, infatti, è meno incline di Parigi a cedere denaro e sovranità per finanziare il proprio dominio regionale, pretendendo che ciascuna nazione si arrangi da sola attraverso un’interpretazione molto restrittiva del “principio di sussidiarietà” e ciò ha reso l’Ue e l’Eurozona un luogo meno inclusivo. Il dilemma per Roma è il seguente: non può darsi in poco tempo l’ordine richiesto dal “criterio tedesco” (comunque un abominio tecnico); non può uscire dall’Eurozona e dall’Ue perché ciò la devasterebbe; ma non può restare in una situazione dove la partecipazione all’euro sia impoverente. Il fatto che la debolezza dell’Italia sia dovuta più al disordine interno che al tipo di ordine esterno non cambia la priorità strategica di influenzare l’eurosistema a proprio favore.
Al momento lo scenario più probabile è che la presidenza della Commissione vada alla Germania – al candidato del Ppe Manfred Weber, in realtà il disegno è collocarvi Angela Merkel - e quella della Bce alla Francia, in corsa Francois Villeroy de Galahau. Tale configurazione all’Italia non va bene. Non per la qualità delle persone, ma per il fatto che la Germania potrebbe continuare a dominare le regole economiche dell’Ue senza assumere la responsabilità degli atti. Infatti è interesse dell’Italia “stanare” i tedeschi e metterne in piena luce il criterio depressivo con il quale influenzano la gestione dell’Eurozona. Come? Roma dovrebbe premere affinché il tedesco Jens Weidmann, o simile, vada alla Bce quando Mario Draghi scadrà il 31 ottobre prossimo. E’ noto come signor “nein zu allem” (no a tutto), sempre in opposizione, in qualità di presidente della Bundesbank, all’azione realistica di Draghi perché nella Bce rappresenta l’interesse tedesco e non quello generale. Bene, gli si dia la responsabilità generale della conduzione dell’euro. In questa posizione dovrà combattere il rischio di deflazione, di crisi del debito e bancaria. E l’unico modo per farlo, e non fallire per ottusità, è agire in modo espansivo e pragmatico come ha fatto Draghi. In sintesi, per convincere la Germania a passare dall’idealismo al pragmatismo monetario, necessario per far respirare Italia e altri, ci vuole un banchiere centrale tedesco. Weidmann potrebbe invocare il commissariamento dell’Italia? Il rischio c’è, ma se la sentirebbero un tedesco ed un governo tedesco di farsi accusare di distruzione dell’Eurozona? Non credo e per questo invito a valutare, pur non facile, la strategia di stanare i crucchi, considerando che finora Berlino è stata attentissima ad agire via proxy e non in prima persona, appunto, per evitare responsabilità. Inoltre, se un tedesco va alla Bce, un altro non può prendere la presidenza della Commissione e questa andrà alla Francia bloccando Merkel. Dalla padella nella brace o viceversa? Vedremo. Ora la priorità assoluta è che la Bce assuma funzioni di garanzia a cui l’Italia ha rinunciato cedendole la sovranità monetaria. Ciò che impoverisce l’Italia e mette a rischio l’euro, infatti, non è solo il suo debito abnorme, ma la mancanza di un prestatore di ultima istanza che lo garantisca. L’Italia potrebbe avviare la riduzione del debito, senza stress sociali, grazie a più crescita e stabilità finanziaria favorita dal minor costo del debito stesso perché garantito dalla Bce. Per ottenerlo dobbiamo stanare la Germania per costringerla ad assumersi una responsabilità europea che da due decenni cerca di schivare.