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Carlo Pelanda: 2019-4-28La Verità

2019-4-28

28/4/2019

Ma chi ha veramente deciso la posizione di Roma con la Cina?

La Germania preme affinché le relazioni con la Cina dei Paesi europei vengano gestite dall’Ue in modo coordinato e non sul piano bilaterale. L’America frena qualsiasi accordo con la Cina che abbia un significato politico. Il premier Luigi Conte, invece, in occasione del summit a Pechino dedicato al progetto sinocentrico di creazione di nuove infrastrutture nell’area euroasiatica più Africa (Bri), cioè la nuova Via della seta, ha voluto mostrare che l’Italia si sta muovendo bilateralmente come avanguardia di una relazione positiva e politica con la Cina stessa, vantando l’accettazione da parte di Xi Jinping di alcune pre-condizioni scritte nella bozza di accordo italo-cinese siglato a Roma circa un mese fa: rispetto per la proprietà intellettuale, trattamento entro regole certe ed eque delle imprese straniere in Cina e perfino un cenno ai diritti, in generale. E Xi ha premiato Conte con un trattamento privilegiato per questa posizione italiana. Il governo ha fatto un colpo da maestro o un’enorme e controproducente fesseria?

A favore c’è la considerazione che Francia e Germania vendono di tutto e di più in Cina e che le merci passano per ferrovia con stazione principale europea nella tedesca Duisburg e via mare con terminale i porti nordici. Roma ha anche reagito al fatto che Emmanuel Macron abbia invitato sia Angela Merkel sia Jean-Claude Juncker in occasione dell’incontro con Xi a Parigi, segnale che l’Ue è in realtà fatta di Francia e Germania e non certo di Italia. Ciò giustifica il tentativo di Roma di non farsi lasciar fuori, ma prendendo il rischio di offrire a Pechino quello che Francia e Germania non vogliono concedere per non esasperare l’America e per non dover subire all’interno l’accusa di complicità con una dittatura che punta al controllo di ogni singolo individuo via profilatura elettronica e uccide migliaia di dissidenti ogni anno nei campi di rieducazione “Laogai”: la trasformazione della relazione bilaterale da solo commerciale a politica. Lo ha fatto anche perché il Vaticano ha spinto in questa direzione in base ad una sua strategia di riconoscimento della Chiesa in Cina e perché da tempo opera in Italia una vasta lobby filocinese, forse rinforzata ed estesa recentemente da incentivi. Questa, in particolare, sembra aver avuto gioco facile nello spingere il governo a tale mossa in divergenza con le altre democrazie perché in effetti queste, pur attente a restare sotto la soglia politica, fanno di tutto per ottenere buoni affari con la Cina e, soprattutto, perché il governo, a partire dal premier, è denso di personale senza esperienza estera sufficiente nonché di sinofili.

C’è un dato che alimenta sospetti. Il rischio di divergenza penalizzante con Ue ed America dovrebbe essere compensato da un sostanziale incremento dell’export italiano in Cina, dall’accesso di società italiane ai lavori infrastrutturali in Asia finanziati dai cinesi e da facilitazioni alle rotte navali dall’Asia ai porti di Trieste e Genova, con contributi di soldi cinesi ai loro dintorni infrastrutturali. Ma è difficle che l’Italia ottenga vantaggi sufficienti per compensare la divergenza dall’alleanza occidentale. Proprio nel summit di Pechino il presidente della Banca per gli investimenti infrastrutturali in Asia, strumento della Bri, ha fatto capire, pur in modo indiretto per salvare la faccia, che gli interventi saranno molto limitati. In generale, la Cina ha la priorità di convertire tutti i soldi stanziati per l’espansione della Bri alla copertura di un buco finanziario interno equivalente al 250% del Pil. In sintesi, Pechino non ha i soldi e li sta centellinando, prova ne è il blocco di tanti progetti di investimento nel mondo, apparentemente privati, ma di interesse strategico e sostenuti con denaro statale. Resta, come ha fatto intendere Xi nel suo discorso a Pechino, la concessione di un accesso privilegiato al mercato interno cinese: non ho soldi, ma te li faccio fare nel mio cortile, se però mi dai soddisfazione politica. Ma a Xi interessa l’influenza dell’Italia nella Ue e non certo il bilaterale con essa, pur strumento di rottura dell’Occidente, influenza che l’Italia non ha nei confronti di Francia e Germania. L’assenza di chiari benefici a compensazione dei rischi fa sospettare che la scelta di Roma sia stata determinata non dall’interesse nazionale, ma da quello di altri soggetti.

 In conclusione, l’Italia verrà riassorbita dall’Ue - che manterrà la relazione con la Cina sotto la soglia politica - in una posizione di svantaggio competitivo peggiore di quello precedente. Pertanto il governo ha fatto una fesseria. Ora bisogna pensare a come metterci una pezza e ciò anche richiede uno sforzo di giornalismo investigativo per svelare chi sta facendo fare allo sprovveduto Conte errori così gravi. Ma voi dell’intelligence, che le cose le sapete bene, che cavolo raccontate a questo volonteroso ma spaesato premier? E il Quirinale approva o frena?

(c) 2019 Carlo Pelanda
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