Nel 2018 la quantità di investimenti esteri diretti si è ridotta sostanzialmente a livello mondiale. Tale dato è correlato alla frammentazione tendenziale del mercato globale in blocchi regionali con nuovi confini doganali e relazioni potenzialmente conflittuali tra loro, con conseguente incertezza dovuta al crescente rischio politico. Più precisamente, la globalizzazione centrata sull’America si è rotta per il rifiuto dell’Amministrazione Trump di continuare a reggere la domanda mondiale attraverso il deficit commerciale statunitense - modello considerato insostenibile - combinato con la scelta di limitare l’influenza internazionale di Cina, percepita come un sostitutore prospettico, e dell’Ue sempre più divergente dall’America stessa, attraverso conflitti doganali e confronti dissuasivi di potenza. A ciò va aggiunta la tendenza alla rinazionalizzazione del consenso in quasi tutte le democrazie a causa del loro impoverimento e/o aumento della disuguaglianza. Ma il mondo sta andando veramente verso la de-globalizzazione?
Non bisogna sottovalutare i segnali che, in realtà, indicano più probabile una modifica dell’architettura politica del mercato globale e meno la sua dissoluzione. Infatti sta emergendo un reticolo di accordi bilaterali che tendenzialmente coinvolgerà tutti con tutti gli altri attori economici principali. Alla tendenza di frammentazione conflittuale, pertanto, si contrappone quella di riorganizzazione del mercato globale con una formula “a matrice” di relazioni economiche e finanziarie bilaterali complessive che tendono a rendere, in prospettiva, più sicura la circolazione di capitali e merci perché regolata da trattati. Il capitale di investimento, pertanto, nonché le merci, potranno continuare a muoversi globalmente, ma lungo i sentieri della matrice di trattati di libero scambio e simili. La spinta per tale tendenza è dovuta al fatto che nessuna nazione riuscirebbe a sopravvivere alla de-globalizzazione perché tutte hanno preso nei decenni passati un modello di sviluppo trainato dall’export con enormi difficoltà a sostituirlo con uno basato su consumi e investimenti interni. E nemmeno l’America, con modello di sviluppo più interno, può rinunciare senza danni all’apertura internazionale pur volendo modificare il dare e l’avere. Ciò non eviterà i conflitti di influenza tra i blocchi, ma li modererà. Inoltre, questo scenario di ri-globalizzazione esalta la rilevanza dell’Ue come attore principale nella nuova matrice mondiale di accordi bilaterali, rendendola moltiplicatore di potenza per le sue nazioni più di quanto ora si valuti.