L’Italia ha una reputazione nel mondo peggiore di quanto meriti. Per esempio, il rischio di ridenominazione calcolato sulla capacità nazionale di ripagare il proprio debito e restare nell’euro è zero. Prima dell’evento di ridenominazione, infatti, c’è la possibilità di mettere in campo per la riduzione del debito almeno 700 miliardi di patrimonio pubblico disponibile (concessioni, partecipazioni ed immobili statali e locali) e, soprattutto, circa 8mila miliardi di patrimonio privato che è tra i più alti del mondo, dato potenziato dal minore debito privato nel mondo stesso. Un calcolo corretto del rischio Italia dovrebbe riconoscere che, pur senza sovranità monetaria, questa nazione ha un megaprestatore di ultima istanza: il suo popolo risparmiatore (e produttivo). Inoltre, nel caso peggiore non sarebbe l’Italia ad uscire, ma è l’euro che si scioglierebbe e l’Ue si frammenterebbe, chiamando in campo le funzioni statutarie d’emergenza della Bce per evitarlo. Perché, allora, gli attori di mercato scontano un rischio elevato di ridenominazione che in realtà è minimo, deprimendo il ciclo nazionale del capitale via spread assurdi, rating decrescenti, ecc.? Come è possibile che la seconda potenza manifatturiera europea, tra le prime dieci nel mondo e che esporta tanto quanto il Pil del Belgio venga considerata una periferia in degrado? Forse perché al mercato piace sovrastimare il rischio per ottenere un rendimento maggiore? Perché Germania e Francia vogliono condizionare l’Italia esagerando la sua vulnerabilità debitoria? Perché i politici italiani sono così inesperti da cadere nella trappola di essere ostili all’Ue, o di chiedere l’elemosina di un po’ di flessibilità, favorendo così la loro marginalizzazione, invece di comportarsi come azionisti rilevanti e furbi dell’Ue stessa? Perché esistono due Italie, una poverissima e l’altra ricchissima, e ciò distorce le valutazioni? Tali motivi sono rilevabili, ma il punto è che sono gli italiani a non difendere la loro reputazione comunicando la realtà della nazione. Questa non è bellissima, ma è ben lontana dall’essere pessima come appare nelle analisi tecniche e generali che fanno opinione nel mondo. Pertanto, prendendo spunto da un lodevole progetto del think tank Ambrosetti, è prioritaria un’iniziativa nazionale per comunicare la corretta immagine dell’Italia nel mondo, cominciando dal non parlare troppo male di sé stessi e dal capire l’importanza del metamarchio Italia per spingere nel mondo i marchi nazionali e attrarre da esso più investimenti. Una Tv italiana globale in Inglese sarebbe utile.