Come l’America reagirà alla convergenza eccessiva tra Italia e Cina? La strategia cinese ha come scopo primario la salvezza nel tempo del Partito comunista, cercando di fare l’opposto di quello sovietico che portò all’implosione dell’Urss. Sul piano interno promuovere la liberalizzazione economica, ma sotto un controllo ferreo del partito, come strumento per la ricchezza di massa e conseguentemente di consenso. Sul piano esterno, l’idea è che il regime cinese non potrà difendersi dall’America e dalla pressione democratizzante se non diventerà prima una potenza economica superiore e globale. Ciò ha definito i requisiti della politica estera cinese: tempi lunghissimi, mai sfidare il potere americano direttamente prima di aver raggiunto una superiorità netta, pur contrastandolo nella regione del Pacifico per poi espellerlo nel futuro, nel frattempo cercando di usarne l’accesso al mercato statunitense come traino per la crescita non potendo contare su capacità autonome. Nel 1995-96 l’Amministrazione Clinton concesse alla Cina tale accesso, precursore per la cooptazione di Pechino nell’Organizzazione mondiale del commercio (2001) e via questo nel mercato globale. Da allora la Cina accelerò ed estese l’insediamento in decine di nazioni offrendo investimenti infrastrutturali per scopi di influenza, offrendo vantaggi ai politici locali per evitare controreazioni. Nel 2018 si contavano 86 nazioni oggetto di investimenti di influenza e circa 100 accordi cooperativi. Bisogna annotare che fino al 2012 Pechino è stata molto attenta ad insediarsi in zone che l’America non considerava strategiche, per evitare frizioni. Dal 2013, in risposta al tentativo dell’Amministrazione Obama di creare un’area di libero scambio americocentrica nel Pacifico (Tpp) per limitare l’espansione cinese, Pechino, oltre ad un riarmo accelerato che fino allora aveva tenuto sotto traccia, lanciò l’iniziativa della Via della seta come progetto di condizionamento dell’intera Eurasia, e di consolidamento della già conquistata Africa, per influenzare le nazioni europee affinché non si unissero all’America in un possibile accerchiamento della Cina. Pechino è penetrata prima in nazioni piccole per non fare troppo rumore e ha dato vantaggi a quelle più grandi e Nato senza pretendere un cambio di fronte, ma riservatamente ottenendo da queste il blocco dell’accordo euroamericano di mercato unico (Ttip). La svolta americanista e di quasi rottura con gli alleati da parte di Donald Trump, nel 2017, ha destabilizzato l’area delle democrazie, creando un vuoto. Nello stesso anno, Xi Jinping ha preso poteri dittatoriali e ha dovuto affrontare la minaccia americana di blocco del suo export. Ora Pechino dovrà cedere all’America per mantenere l’export, ma per bilanciare questa resa ha deciso di variare la strategia, estendendo ed intensificando la sua influenza nel resto del mondo, in particolare nell’Ue per completare il dominio sull’Eurasia. L’Italia è diventata un bersaglio privilegiato perché più facile da conquistare di Francia e Germania, finora attente a tenere le pur fitte relazioni con la Cina sotto la soglia geopolitica, a causa della maggiore debolezza e penetrabilità delle sue istituzioni.
Washington mostra difficoltà a trovare una risposta alla nuova variante della strategia cinese perché l’americanismo di Trump, polemico con gli alleati, non aiuta la coesione dell’Occidente e, soprattutto, perché la strategia cinese è molto raffinata. Ma dovrà rispondere. Nei confronti dell’Italia probabilmente non vorrà fare pressioni troppo aperte perché provocherebbero dissensi, anche spinti dal Vaticano che ha preso una postura filocinese, ma eserciterà pressioni riservate. Queste potranno essere dissuasioni o sanzioni su singoli personaggi – infatti è prudente per i politici più esperti non farsi vedere nelle sinocerimonie di questi giorni – e/o interferenze per cambio di figure governative. Infatti sento un disagio nel vedere che l’Italia o si fa penetrare dai cinesi oppure dagli americani, confermandosi un luogo troppo leggero e volatile dell’Occidente. Per diventare più solida, l’Italia dovrebbe trovare un gruppo di politici capace di definire in modo indipendente da pressione statunitensi, vaticane e di qualsiasi altro che c’è un confine netto tra mondo delle democrazie e dei regimi autoritari e che Roma è saldamente nel primo. A questi politici proporrei il lancio da Roma del progetto Nova Pax, cioè di un’alleanza globale delle democrazie più grande e potente della Cina per far mantenere alla cultura della libertà il dominio politico sul pianeta e sui suoi standard tecnici. Da un lato, produce shock l’immagine di un potere democratico che si umilia di fronte ad uno dittatoriale. Dall’altro, senza questo shock sarebbe difficile comunicare la necessità del progetto Nova Pax e di politici che lo perseguano. Quindi grazie al partito filocinese che ha reso evidente l’opaca inconsistenza dell’Italia e stimolato una controreazione, di massa contando le lettere che sto ricevendo. Agli osservatori americani: state fermi, rimetteremo noi italiani l’Italia entro il giusto confine.