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Carlo Pelanda: 2019-4-14La Verità

2019-4-14

14/4/2019

Bisogna calmare i sauditi

La mossa offensiva di Khalifa Haftar sembra aver sorpreso anche alcuni dei suoi sostenitori oltre che gli interlocutori e i nemici. Questi pensavano che l’avanzata su Tripoli avesse l’obiettivo limitato di ottenere maggior peso nella conferenza di pacificazione interna sotto egida Onu e non di eliminare la fazione avversaria. Capire perché Haftar sia andato oltre il limite e se i poteri esterni che lo sostengono glielo abbiano concesso o meno è rilevante per individuare una strategia di (ri)stabilizzazione. Tento qui un’ipotesi.

Sono sinceri o mentono Francia e Russia, sostenitori di Haftar che ora lo invitano a calmarsi? Ho la sensazione che siano abbastanza sinceri e che la Francia, avendo messo a disposizione di Haftar consiglieri militari e sostegni aerei, sia in notevole imbarazzo. Gli Emirati (Uae) e l’Egitto sono silenziosi, ma questi non fanno una mossa che non sia concordata con l’Arabia saudita. Ciò sostiene l’ipotesi che Haftar abbia preso la decisione di offensiva totale con il consenso, o su istruzione, saudita. Se così, ciò vuol dire che Ryad ha trovato motivi per accelerare la conquista della Libia, probabilmente senza concordarlo, o non del tutto, con Mosca e Parigi. Se verosimile, perché la strategia saudita ha preso un azzardo mandando Haftar a compiere un’azione rischiosa, incrinando le relazioni con Parigi e Mosca e mettendo in tensione quelle con gli Stati Uniti? Washington, infatti, ha un’alleanza privilegiata con i sauditi, ma non può rompere del tutto con la Turchia, ancora nella Nato pur in modo sempre più sfumato, e con l’Algeria che, insieme al Quatar e alla Tunisia, sostengono la fazione di Fayez al-Serraj? Il fatto che l’America abbia lasciato il presidio della Libia, apparente via libera ad una soluzione militare, ma inviti Haftar a fermarsi, in base al recente comunicato congiunto dei ministri degli Esteri del G7, mostra imbarazzo.

Potrebbe essere stato anche lo stesso Haftar a chiedere a Ryad copertura (e soldi) per chiudere rapidamente la questione libica. Il presidio di gran parte della Libia ha costi che eccedono le sue capacità. Il suo apparato militare è molto dipendente da mercenari. Forse ha temuto che, sapendolo i suoi nemici, una soluzione negoziale lo avrebbe imbrigliato in una posizione lunga, alla fine perdente. Poiché ha bisogno di ricevere i soldi del petrolio, ma questi sono gestiti dall’ente nazionale libico (Noc) che è l’unico legittimato a incassare i proventi ed è nelle mani di Serraj, il cui governo è riconosciuto dall’Onu, è realistico pensare che una tregua prolungata comporti la sconfitta finale di Haftar stesso, motivandolo a chiudere in fretta e con violenza la questione, anche logica di allungamento dei tempi via guerra di frizione per cui i clan vicini a Serraj hanno deciso di combattere nonostante la loro inferiorità militare. Se così, ciò non toglie però la rilevanza maggiore dell’interesse saudita ad accelerare la conquista.

Perché? L’incertezza sulle forniture energetiche dalla Libia, combinata con il calo di quelle venezuelane e le probabili sanzioni statunitensi contro quelle iraniane a fine maggio, stanno alzando il prezzo del petrolio. Washington non vuole che questo vada oltre una certa soglia. E, stranamente, anche la Russia (forse per mantenere almeno un livello di intesa con l’America) che ha un accordo, pur a scadenza, con Ryad per la determinazione del prezzo stesso. Ma Ryad sembra voler un prezzo elevato per fare cassa a breve, non può ridurre troppo la produzione propria per evitare una frizione forte con Washington e quindi destabilizza la Libia per ottenere l’effetto. Se fosse così, l’obiettivo di Haftar potrebbe essere limitato dall’interesse di breve termine dei sauditi: ci serve un po’ di casino, poi torna a fare il bravo e ti pagheremo noi la tregua. Ma non credo sia così, o solo questo il punto. Da sempre i sauditi cercano di prendere il controllo del petrolio e gas libici e algerini. Ora che l’Algeria è in trambusto, l’operazione potrebbe diventare più incisiva e sistemica, forse motivo delle nuove preoccupazioni della Francia e della sua ri-convergenza con Italia (e Germania). Inoltre, il Sudan è anche in effervescenza e la Tunisia è meno stabile di quanto appaia. Ryad ha certamente tre interessi: dominare totalmente il prezzo del petrolio, eliminare l’influenza dell’Islam politico (al potere in Turchia, Tunisia, ecc.) che ne vuole sostituire il potere e non dare spazio all’insorgenza jihadista lasciando senza presidio qualche territorio. Se così, allora la conquista rapida della Libia sarebbe un episodio di una strategia molto più ampia. Difficilmente vincerebbe, anche perché si ingaggerebbero iraniani e cinesi in opposizione, ma probabilmente destabilizzerebbe un’area ampia contro gli interessi di Francia e Italia nonché Stati Uniti. In questa ipotesi la soluzione è una forte compattazione del G7 (che sembra in atto) e un suo chiarimento dissuasivo con Ryad.

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