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Carlo Pelanda: 2019-3-9La Verità

2019-3-9

9/3/2019

Israele è il partner tecnologico perfetto per l’Italia e viceversa

La relazione industriale tra Israele ed Italia è molto proficua per ambedue, in particolare dal 2002 quando fu siglato un accordo bilaterale tra ministeri della Difesa per lo sviluppo cooperativo di nuove tecnologie – ministro all’epoca era Antonio Martino con cui ebbi l’onore di collaborare -  ampliato da uno nel 2018. Ora ritengo utile segnalare l’utilità per l’interesse nazionale italiano di estendere ed approfondire ulteriormente la relazione economica con Israele.

Il punto: nell’industria tecnologica residente in Italia e operante nel perimetro delle funzioni di sicurezza c’è un gap a livello di prodotti per la sicurezza informatica e guerra cibernetica. Il motivo non è tanto la mancanza di competenze, ma il fatto che queste sono imprigionate in aziende troppo piccole per finanziare lo sviluppo continuo della tecnologia e/o bloccate dall’assenza di un vero mercato dei capitali denso di fondi finanziari capaci di investire in start up tecnologiche e di sostenerle via acquisizioni espansive. Ciò comporta il rischio sia di dover importare sicurezza dall’estero senza un controllo nazionale della stessa sia di non essere competitivi in un settore industriale sempre più di punta, non solo militare, ma anche civile. Per esempio, prima o poi la Bce dovrà emanare degli standard di sicurezza molto evoluti per evitare penetrazioni malevole nelle transazioni bancarie e simili sempre più robotizzate. Sarebbe meglio, ovviamente, che Banca d’Italia, Consob e sezione fintech dei Servizi segreti (Dis) nonché Polizia postale disponessero di un sistema tecnologico nazionale integrato – anche collegato al monitoraggio “humint” - e non importato da altri senza possibilità di vero controllo su una funzione così vitale per l’economia italiana. All’obiezione che dovremmo avere fiducia nell’europeizzazione di tale sicurezza dovremmo rispondere cortesemente non denunciando gli eurogiochi di dominio a nostro svantaggio né segnalando l’arretratezza delle tecnologie francesi e tedesche nel settore in confronto a quelle cinesi, russe, americane e perfino iraniane, ma dicendo che parteciperemo ai nuovi standard con una piattaforma nazionale evoluta ed euro-compatibile. Il problema è che, allo stato attuale, non abbiamo la capacità per poterlo fare. Inoltre, il sistema finanziario italiano è in ritardo tecnologico, con conseguenze de-competitive. Da un lato, c’è un’accelerazione nel processo di adeguamento. Dall’altro, nel migliore dei casi, il sistema resterà in ritardo competitivo endemico nei confronti di altri. Pertanto l’Italia ha il problema di importare tecnologie nei settori sia della sicurezza sia civile che possano colmare rapidamente il gap detto, ma trovando un partner che permetta la costruzione di sistemi a controllo nazionale o comunque basati su iniziative imprenditoriali residenti in Italia per non essere impoveriti dalla concorrenza esterna. Secondo me Israele è il partner perfetto per tale scopo perché il suo peculiare sistema di innovazione ha le tecnologie che servono all’Italia, o è più avanti nel loro sviluppo, e non ha intenti condizionanti. Anche l’America potrebbe essere un buon fornitore, ma le aziende statunitensi potrebbero pretendere un dominio che limiterebbe le possibilità degli sviluppi residenti nel settore mentre le aziende israeliane sarebbero interessate a sostenerli. Ma è Israele così evoluta sul piano tecnologico? Per resistere come nazione minuscola in dintorni ostili ha dovuto necessariamente puntare sulla superiorità tecnologica, configurandosi tutta come un laboratorio innovativo e incubatore di start up. Ma ha difficoltà a scaricare sul mercato tutto il potenziale così creato.

Possiamo fidarci di Israele? La domanda giusta è: di chi Israele può fidarsi in Europa? Germania? Mai. Francia? E’ troppo condizionante. Regno Unito? Anni fa Israele mandò agli inglesi un (mini)missile di nuova generazione affinché lo valutassero per acquisizione, ma Londra non glielo restituì per l’embargo dell’export di armi ad Israele: surreale e certamente rimasto nella memoria. Resta, tra le potenze industriali, solo l’Italia. Anche perché con questa, oltre alla non condizionalità geopolitica, Israele ha potuto instaurare una relazione commerciale simmetrica: ha comprato un numero rilevante di aerei addestratori prodotti da Leonardo e altro, per un miliardo, e l’Italia ha acquistato sistemi israeliani, tra cui un satellite, per analogo valore. Conviene ad ambedue estendere e rendere più profonda la relazione, appunto. Sta avvenendo, ma mi permetto di suggerire relazioni più forti tra la due agenzie spaziali, la creazione di una piattaforma di cybersecurity italo-israeliana, un accordo economico per fornire bandiera fiscale italiana ad aziende israeliane in via di internazionalizzazione e una banca italo-israeliana (e americana) fintech, con raggio globale.

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