Nello scenario delle relazioni tra America e Cina si intravede un compromesso che, se confermato, creerebbe una nuova configurazione dell’ordine mondiale e del mercato globale. Se Pechino accettasse – come sembra dalle bozze - una relazione commerciale simmetrica con Washington non riducendo l’export, ma aprendosi a quello americano, togliendo barriere per un volume equivalente, allora la scala dei flussi sarebbe di entità tale da rendere ancor più interdipendenti, di fatto fusi, i due sistemi economici. Il ribilanciamento progressivo del deficit commerciale bilaterale, infatti, sarebbe tra i 350 e 400 miliardi di dollari anno. Per l’America significherebbe un aumento del potenziale di Pil tra il 3 e il 4% anno, molto a favore dell’export agricolo e industriale medtech. La Cina avrebbe alcuni problemi, ma sarebbero bilanciati da un intreccio con il sistema americano che darebbe stabilità e impulso al suo sistema finanziario, conseguentemente favorendo la crescita. Inoltre, è forte l’interesse del sistema bancario statunitense di insediarsi in quello cinese. Il punto: se una tale convergenza si realizzasse, che forma prenderebbe il conflitto tra i due per la superiorità globale? Da un lato, nessuno dei due rinuncerebbe al primato. Dall’altro, ambedue avrebbero interesse a settorializzare il conflitto stesso, lasciando fuori i flussi commerciali. Ciò implica la riduzione di frizioni militari e quindi la necessità di un accordo di spartizione delle aree di influenza nel pianeta. L’America già lo fece a Teheran (1943) con i sovietici, e poi a Yalta, per altro determinando la fine dell’Impero britannico, impostando un livello di cooperazione entro il conflitto. La competizione, anche durissima, continuerà sulla tecnologia, sul dominio del sistema solare, con un aumento della deterrenza militare reciproca, ma nell’ambito di una collaborazione – pur “sorvegliata” - sul piano economico. Soprattutto, il nuovo duumvirato avrà il monopolio condiviso della violenza e l’interesse a regolare con metodo G2 gli affari globali. Ciò aumenta la probabilità, nonostante le opposizioni interne, di un accordo sino-americano perché vantaggioso sia per Xi Jinping sia per Trump, ma renderà marginali e/o esposti alla spartizione Ue, Giappone, Russia e India. L’Ue è troppo piccola - Francia e Germania dovrebbero valutarlo meglio - per tentare di ergersi a terza forza mondiale. Pertanto, la giusta strategia è cementare un accordo euroamericano che permetta agli europei un accesso vantaggioso al mercato sino-americano e sposti altrove le tensioni spartitorie.