E’ solo una sensazione, ma già merita scenario: se l’accordo sinoamericano andasse in porto nel formato – ora in bozza - di maggiore apertura del mercato cinese all’export statunitense, l’America potrebbe ridurre forse di circa 50-70 miliardi di dollari il deficit commerciale bilaterale con la Cina che è attorno ai 350 miliardi di dollari anno, ma difficilmente di più. Il punto: l’America non ha un sistema industriale calibrato sull’export, molte sue produzioni sono adattate solo al mercato domestico, e la Cina sta raggiungendo una qualità industriale competitiva in parecchi settori, per esempio l’auto, che ridurrebbe l’import anche se tolte barriere tariffarie e non. Non si può escludere che, una volta formalizzato il libero scambio, poi l’enorme capacità industriale americana inventi nell’arco di qualche anno nuovi prodotti a standard globale e ipercompetitivi grazie al nuovo incentivo ad esportare. Ma la domanda nel mercato interno cinese potrà crescere a sufficienza per reggere alti volumi di offerta interna ed esterna? Difficile perché la Cina sta mostrando, come successo al Giappone alla fine degli anni ’80, l’esaurimento di un’ipercrescita levereggiata e la transizione verso un’economia stagnante con la priorità del riequilibrio finanziario. Inoltre, i beni tech americani più sexy hanno un profilo di superiorità militare e difficilmente avrebbero il permesso di esportazione in Cina. Ciò implica che il riequilibrio commerciale spinto dall’Amministrazione Trump sarà un flop? C’è un’opzione, ma questa è un rischio per l’Ue e altri. Per esportare di più in Cina, l’America potrebbe facilitare l’insediamento di aziende straniere che usino il libero scambio bilaterale per avere un accesso privilegiato al mercato cinese e concedere ad aziende cinesi bandiera fiscale statunitense per entrare in altri mercati, ma il vantaggio sarebbe tutto per l’America stessa. Tale ipotesi potrebbe riverberare sulle relazioni commerciali Stati Uniti-Ue, modificando la strategia dei primi dal riequilibrio commerciale al dominio: forzare/facilitare l’americanizzazione di aziende europee, ma comprimendo l’export diretto dall’Ue per lo scopo di rendere l’America hub principale del mercato globale e “succhiare” la capacità industriale europea. Se così, la strategia più razionale contro tale rischio sarebbe accelerare un accordo bilaterale euroamericano che integri profondamente i due mercati, soprattutto quello finanziario, modificando la posizione corrente franco-tedesca di una sovranità europea post-atlantica che, per vista corta ed introversione, è suicida