Colpisce in positivo l’espressione usata recentemente da Sergio Mattarella, qui sintetizzata: l’Ue è un moltiplicatore della forza nazionale, ma l’Italia deve porsi in posizione di protagonista. Ciò è una variazione rilevante dell’europeismo conformista “obbligatorio” tipico degli inquilini del Quirinale, tutti eletti negli ultimi decenni in base alle pressioni di élite che ritenevano necessario il vincolo esterno per tenere in ordine un’Italia incapace di farlo autonomamente. Ora Mattarella sembra incline a passare da un europeismo passivo ad uno attivo, evidentemente prendendo atto che l’attuale architettura sta diventando un demoltiplicatore di forza e ricchezza per le nazioni residenti, motivo di eurodivergenza crescente e diffusa. Ma quale nuovo euromodello il neo-attivismo italiano dovrebbe perseguire? Quello delle “sovranità condivise”, cioè confederale, per dare un’architettura politica solida all’euro, come invocato da Mario Draghi, e che porti ad una “sovranità europea” perseguita da Macron che, oltre a francesizzare l’Ue sotto l’ombrello nucleare di Parigi nel post-Brexit e post-Nato, la renda capace di prendere posizioni terze tra America e Cina, ma rifiutato dalla Germania e da altri nonché motivo di conflitto con l’America? Oppure quello delle “sovranità convergenti” dove il modello europeo venga modificato in modi tali da rendere più comoda per ciascuna nazione la partecipazione ad un’alleanza sufficientemente strutturata per creare un mercato unico e investimenti comuni sia di sicurezza sia di sviluppo, ma senza bisogno di una statalizzazione della regione? La posizione dell’Italia può spostare le decisioni europee? Al netto della ricattabilità a causa del debito certamente lo potrebbe perché è un’azionista di riferimento dell’Ue, se decide di comportarsi attivamente come sembra dalle parole di Mattarella. Se così, però, prima di decidere il nuovo modello, bisognerebbe costruire il decisore, come già raccomandato dalla lettera inviata ai governi europei da Paolo Savona che invocava un luogo dove creare una “politeia”, cioè uno spazio per veri accordi politici. Quale? Per accordi robusti dovrà esserlo il Consiglio europeo rinforzato via configurazione E-G27 e un “vero” Presidente dell’Ue. In questo luogo, prima di tutto, si dovrebbe elaborare un metodo di armonizzazione di ogni interesse nazionale con quello del complesso, cioè il fondamento politico di qualsiasi rinnovamento dell’Ue. E questo va certamente avviato con uno schema (funzionalista) di “sovranità convergenti” e, si spera, reciprocamente contributive.