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Carlo A. Pelanda
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Carlo Pelanda: 2018-12-30La Verità

2018-12-30

30/12/2018

Più realismo, più Pil

Il raggio probabile di crescita del Pil italiano nel 2019 potrebbe essere tra un insufficiente 0,6 ed uno stagnante 1,1%, numeri che rendono vulnerabile l’economia a impatti catastrofici dovuti a shock esterni, ma con la possibilità - qui il punto - di salire verso il 2% a certe condizioni. Questa stima preliminare deriva da un’elaborazione del mio gruppo di ricerca dove è stata fatta pesare di più, in modo più ottimista di altri scenari, la forza del sistema industriale e la ripresa dell’export, mantenendo negativo l’effetto crescita della “manovra”, come è ora, in sintonia con il resto degli analisti. Le previsioni del governo indicano una crescita all’1%. Quelle dei principali centri di ricerca nazionali ed esteri la prevedono tra lo 0,5 e lo 0,8%. In queste, e in alcune più pessimiste, pesa il fatto che nel 4° trimestre 2018 il Pil italiano è nuovamente a crescita zero, o sotto, e che ciò farà entrare l’economia nel 2019 in fase di recessione, compromettendo il risultato del prossimo anno. Per inciso, la crescita in Germania nel 2019, che ha certa correlazione con quella dell’Italia perché l’industria tedesca è uno dei principali importatori di componenti prodotte dalla seconda, è al momento stimata attorno allo 1,6%. Non male, ma in calo.

Tutte queste previsioni potranno essere meglio stabilizzate a marzo. Ma ci tengo ad affrontare qui in anticipo il tema previsionale, che riguarda quello del potenziale di crescita ed i modi per saturarlo, per mostrare come il governo potrebbe minimizzare la probabilità di recessione/stagnazione ed aumentare quella di caso migliore, muovendosi meglio già negli appuntamenti legislativi di gennaio e nei comportamenti in seguito.   

La possibilità di un caso migliore dipende, sul piano esterno, dall’ipotesi che il mercato mondiale potrebbe essere meno turbolento di quanto ora si teme. Se così, la contrazione in atto della domanda globale potrebbe limitarsi a un minimo, favorendo una ripresa dell’export italiano in grado di bilanciare la tendenza stagnante, perché non stimolata da investimenti, del mercato interno. Il fattore chiave è la guerra tra America e Cina. Questa continuerà, ma le ambedue parti non hanno interesse ad intensificarla sul terreno doganale perché l’impatto li danneggerebbe gravemente via destabilizzazione del sistema globale. Pertanto, diversamente dalle analisi correnti per lo più pessimiste, è probabile un compromesso che rimetterà in moto tutto il ciclo dell’economia mondiale, aumentando la fiducia su una maggiore stabilità prospettica del globo, pur restando un’elevata volatilità,  e rigenerando un ambiente favorevole, appunto, per le esportazioni italiane. Tale fiducia, però, dipenderà anche da un rialzo meno rapido dei tassi del dollaro che ridurrebbe il rischio di insolvenze catastrofiche di aziende e Stati indebitati in questa moneta. La Fed, dopo i violenti attacchi di Donald Trump, appare più calma per il 2019, anche considerando che l’inflazione in America è contenuta e che la tradizionale correlazione tra piena occupazione e inflazione è sempre più ridotta dall’effetto deflazionistico delle nuove tecnologie. Senza patatrak mondiale, e restando il governo italiano in certa convergenza con l’Ue, il mercato, anche valutando che la Bce rifinanzierà i 350 e oltre miliardi di debito italiano comprati dal 2015 ad oggi e manterrà lentissimo il rialzo dei tassi in euro, percepirà meno rischi e più opportunità in Italia, dove i valori in Borsa offrono uno sconto attorno al 30%, provocando un rimbalzo sia finanziario, sia del credito sia dell’economia reale.

 Questo è il caso migliore dove tale rimbalzo potrebbe arrivare vicino al 2% del Pil. Definite le condizioni esterne, però, il governo dovrebbe dare più aiuto nella ricostruzione della fiducia sull’Italia, con le seguenti misure e correzioni: confermare le infrastrutture, Tav in particolare; eliminare l’ipotesi di chiusura domenicale degli esercizi commerciali ed inserire nuovamente un periodo di flessibilità per i contratti di lavoro, evitando il rischio di aumentare la disoccupazione di almeno 150mila persone; facilitare la riqualificazione dei sessantenni invece di mandarli in pensione con poco, permettendo a chi vuole di continuare a lavorare fino a quando desidera e può, aumentando la platea di popolazione produttiva e consumatrice che è essenziale per la crescita in fase di crisi demografica; semplifìcare le norme e ridurre i costi per la quotazione in Borsa, anche creando un segmento strutturato di pre-quotazione “sotto” l’Aim, per facilitare la capitalizzazione delle imprese. Avviare un censimento serio del patrimonio pubblico nazionale e locale per poterlo finanziarizzare ed usare per ridurre il debito; rinunciare a linguaggi elettorali antieuropei generici e proporre, invece, una riforma dell’Ue dove le nazioni possano stare più comode. In sintesi, c’è una relazione tra realismo positivo e Pil che gli attori della maggioranza dovrebbero considerare con più attenzione.       

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