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Carlo Pelanda: 2018-11-25La Verità

2018-11-25

25/11/2018

Il ciberpericolo cinese va contrastato

Le analisi finora apparse sulla stampa italiana, per lo più, hanno interpretato la richiesta statunitense agli alleati di bandire l’azienda cinese (formalmente) privata Huawei, campione globale nel settore telecom, come un episodio di escalation della guerra ibrida tra Washington e Pechino per la supremazia mondiale, di cui quella tecnologica è fattore chiave. Questa analisi è corretta, ma incompleta. E va completata per porre ai governi Nato i giusti termini della questione al cui riguardo dovranno decidere. Se l’analisi pubblica resta solo così, infatti, questi si troveranno in imbarazzo nel vietare l’attività di un’azienda privata, esponendosi alla critica di favorire una concorrenza sleale e al rischio di provocare una reazione conflittuale della Cina. Al riguardo, non si può escludere che la recente demonizzazione di Dolce & Gabbana da parte dei social media cinesi sia stata un atto di dissuasione organizzato dal governo nei confronti dell’Italia, dove Huawei ha investimenti sistemici sostenuti da Pechino che vede l’Italia come la migliore testa di ponte per penetrare l’Ue perché ha reclutato – direttamente e indirettamente - molti influenti soggetti italiani. In sintesi, il governo italiano si trova pressato da un partito pro-atlantico ed uno pro-cinese nonché dal problema di salvaguardare gli interessi del Made in Italy in Cina.    

La diplomazia italiana è capace di equilibrismi, in particolare concordare con l’America uno spazio di relazioni con potenze avversarie, per esempio con la Russia (centrale nella questione libica). Inoltre, l’America, nonostante le apparenze, non è realmente in guerra con la Russia: Mosca non ha la scala né la forza per disturbare il potere globale statunitense e Washington sta cercando una convergenza futura con essa per completare l’accerchiamento della Cina, anche confidando sulla paura russa dell’espansione cinese. Ma l’America è in guerra totale – pur intervallata da tregue per non destabilizzare il mercato globale – con la Cina perché questa è in grado di contrastare e perfino sostituire in prospettiva il potere statunitense e il dominio planetario dell’alleanza delle democrazie. Quindi Roma avrà meno concessioni nelle relazioni con Pechino. Per inciso, proprio in questi giorni l’Amministrazione Trump sta spiegando ai tre grandi produttori di auto tedesche, convocati a Washington, che se vogliono mantenere l’accesso e l’operatività in America dovranno convincere il loro governo a forzare l’Ue ad aderire alla proposta di un trattato di libero scambio simmetrico (senza dazi reciproci in molti settori) non solo per equilibrare le relazioni commerciali, ma anche per integrare il mercato europeo a quello americano in funzione anticinese (e antifrancese). L’Italia ha un interesse chiaro e prioritario che tale negoziato euroamericano si apra, anche perché il suo (geo)valore agli occhi dell’America è connesso.

 Ed è un punto per l’analisi strategica.

Ma non basta, appunto, per orientare una difficile decisione per Roma. Per ben argomentarla, il governo dovrebbe trasferire all’informazione pubblica quella riservata che mostra un enorme problema di sicurezza. Dal 2017 Xi Jinping ha imposto che in ogni azienda privata vi sia un commissario politico per controllarne l’azione interna ed esterna. Nel 2013 l’Amministrazione Obama dovette limitare le attività cinesi perché aveva rilevato “pillole” nei sistemi e telefonini di produzione cinese utili per ciberspionaggio. Ma lo fece con prudenza diplomatica. Ora l’Amministrazione Trump sta agendo più duramente non solo per soffocare Pechino, ma anche perché è più chiaro l’uso condizionante dei dati individuali e aziendali per fini di dominio strategico. Già il regime cinese controlla tutte le telefonate, chat, interazioni in rete, filmati, ecc., nel suo territorio. Ora sta estendendo questa capacità, non regolata da uno Stato di diritto, a tutte le parti del mondo dove venga adottato o un sistema di rete o un telefonino di fabbricazione cinese. Il punto: la profilatura dettagliata di miliardi di persone è il precursore di tecniche condizionanti potentissime che spostano la guerra dal territorio alle menti. L’America ha scoperto di avere un gap  in materia e lo sta colmando. Ma gli alleati non hanno barriere di cybersecurity contro questa azione di controllo indiretto delle menti, cioè di condizionamento senza che un individuo se ne accorga, gestito da più di centomila cibermilitari specializzati cinesi con supporti di intelligenza artificiale.  

 In conclusione, tale completamento dell’analisi dovrebbe suggerire a Roma di aderire all’invito statunitense e, soprattutto, di dotarsi di un sistema di cybersecurity più evoluto nonché concordare con l’America un accesso privilegiato del Made in Italy per bilanciare eventuali sabotaggi in Cina. E Huawei, ottima azienda se depurata? Si quoti alla Borsa di Milano e sottoponga i suoi prodotti ai controlli di una democrazia.   

(c) 2018 Carlo Pelanda
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