Tutti i dati economici mostrano una tendenza recessiva che fa prevedere una crescita del Pil 2018 poco sotto, o comunque, attorno all’1% e, soprattutto, un 2019 stagnante o peggio, se non contrastata rapidamente. Il calo dell’export dipende da un minore tiraggio della domanda globale in alcuni settori dovuto alle diverse turbolenze in atto nel mercato internazionale. Su questo lato il governo può fare poco in termini diretti. Ma può fare molto, in teoria, su quello delle stimolazioni del mercato interno, sia aumentando gli investimenti pubblici sia incentivando quelli privati e togliendo alle imprese i pesi che ne limitano l’efficienza anche per permettere a quelle più internazionalizzate di sfruttare meglio la domanda globale che, pur in calo, comunque resterà rilevante nonché agevolare il più possibile nuova occupazione.
In pratica, la linea che sta emergendo nel governo, per lo più a causa della componente M5S, non appare in grado di rispondere alla priorità di evitare una stagnazione/recessione. L’attivazione del salario di cittadinanza viene presentato come una stimolazione della domanda interna, presumendo che il maggior reddito assistenziale per tot milioni di famiglie ora in estrema povertà – per lo più nel Sud – tiri un incremento dei consumi interni. Il quanto potrà essere valutato solo quando la misura sarà dettagliata, ma già ora si può stimare come più probabile un effetto stimolativo non proporzionale alla spesa. Chi in età lavorativa è povero comprerà qualcosa in più per mangiare e vestirsi, ma tenderà a risparmiare in qualche modo, opaco se difficile quello in chiaro, l’eccedenza perché resterà comunque in ansia per la mancanza di redditi da lavoro, nel Sud. Infatti il progetto di incrociare via servizi pubblici la domanda di offerta e di lavoro appare bizzarro al Sud dove il lavoro stesso non c’è. Inoltre, per lo scopo di contrastare la recessione in atto, l’idea di differire il salario assistenziale di qualche mese per ridurre l’impatto sul bilancio nel 2019 in ogni caso ritarderebbe il pur piccolo effetto stimolativo sui consumi, rendendolo inutile nel breve, oltre che suicida nel medio e lungo periodo per allocazione dissipativa delle risorse fiscali. Tale problema sarebbe attutito da una liberalizzazione dei contratti lavoro, lasciando più flessibili quelli a termine o di apprendistato per incentivare le imprese ad assumere dove ce ne sono abbastanza. Ma il Decreto dignità ha limitato tale possibilità. Il lavoro dove non c’è, in particolare al Sud, potrebbe essere generato da investimenti pubblici e privati trainati dai primi. Ma quelli infrastrutturali che hanno il maggior effetto di stimolare un indotto di investimenti privati vengono contrastati dalla parte stellata della maggioranza. L’idea, poi, di un limite all’orario di apertura festiva degli esercizi commerciali certamente non favorisce nuova occupazione. Alla fine, il megaprogetto pentastellato forse creerà un paio di migliaia di impiegati in uffici che incrociano domanda e offerta di lavoro, dove questo non c’è, ed una massa di assistiti senza vero incentivo all’attivismo, con la complicazione di un reddito in chiaro insufficiente, motivo per aumentare il nero. Appare, sperando di essere smentito dai dettagli operativi, un’operazione di voto di scambio mirata al Sud che creerà enormi problemi di bilancio e una ribellione del ceto produttivo del Nord che dovrà finanziarla, via fisco, a perdere. E certamente non potrà essere il contrasto sufficientemente rapido al rischio di recessione qui valutato.
Una forte detassazione stimolativa delle imprese, combinata con investimenti pubblici infrastrutturali, ambedue capaci di attivare a contorno investimenti privati, sarebbe la miglior medicina contro il rischio di recessione. Ma la Lega che li sollecita sembra stia ottenendo solo un minimo stimolo fiscale, quasi una presa in giro, e deve, in base alle cronache, lottare per mantenere i progetti infrastrutturali già programmati, ma senza speranza di accelerarli a favore di un contrasto rapido della tendenza recessiva. In sintesi, le risorse di bilancio, al momento, appaiono allocate in progetti dissipativi e poco stimolativi rendendo troppo vago il vantaggio a fronte del danno provocato dal ricorso ad un extradeficit per finanziarli che sta avendo un impatto depressivo sulla reputazione dell’Italia, sull’affidabilità del debito, sul ciclo interno degli investimenti privati e, senza recuperi di fiducia, sul credito. Sarebbe grave per l’Italia, in un momento di frizione con l’Ue e sotto l’esame dei mercati, aggiungere anche la caduta del governo. Ma se questo non riuscisse a cambiare linea, cioè ad armonizzare contrasto alla povertà con maggiori e rapide stimolazioni alla crescita, allora il danno che può provocare sarebbe peggiore dello scioglimento di questo non funzionante contratto tra sviluppisti e de-sviluppisti.