La visita ufficiale del ministro dell’Economia Giovanni Tria in Cina rende necessario un richiamo in base al seguente criterio di interesse nazionale: è certamente utile avere buone relazioni commerciali con Pechino, ma queste devono restare al di sotto della soglia di relazioni condizionanti sul piano (geo)politico. Poiché l’attuale conduzione della Cina, il cui autoritarismo si è inasprito dopo la svolta dittatoriale attuata da Xi Jinping nel 2017, richiede che in ogni azienda di rilievo vi sia un commissario del Partito comunista e che ogni relazione economica esterna sia condizionata ad un vantaggio geopolitico, il tenere una relazione economica stessa sotto la soglia politica non appare semplice. Ed è elevato il rischio di generare percezioni di ambiguità sulla collocazione internazionale dell’Italia da parte della ben più rilevante America. Né è prova il recente messaggio di Donald Trump “se l’Italia ha problemi di rifinanziamento del debito l’America la aiuterà”, intendendo: non osare accordarti con la Cina. Tria ha fatto filtrare rassicurazioni, ma la conferma degli incontri con la comunità finanziaria cinese e una sua, nonché di altri nel governo, consuetudine con la Cina lascia uno spazio di ambiguità, per altro aperto dalla visita ufficiale in Cina di Sergio Mattarella, l’anno scorso, che giustifica il richiamo.
E’ utile un breve cenno al riguardo del contesto geopolitico per spiegare la delicatezza della materia. L’America ha deciso di limitare l’espansione del potere della Cina prima che questo diventi imbattibile. Non è una “trumpata” che svanirà dopo la fine del mandato di Trump, ma una linea di strategia sistemica e duratura che gli Stati Uniti perseguiranno fino all’ottenimento del risultato. Si tratta di una competizione per il potere mondiale come lo fu la guerra totale tra Roma e Cartagine. Forse ci saranno tregue, in particolare sul piano della guerra economica via dazi, cercate dalla Cina attraverso cedimenti parziali e temporanei perché è vulnerabile alla riduzione dell’export in quanto il suo modello economico vi dipende. Per altro anche l’America rischia uno sconquasso globale che poi impatterebbe sul suo mercato interno se esagerasse e tale pericolo viene sempre più segnalato a Trump dagli attori economici statunitensi. Ma, anche se modulata, è e sarà guerra. La Cina sta usando la strategia dell’elefante, senza mosse fulminee, perché, più grossa, ha maggiore probabilità di vincere nel lungo termine, marciando lenta. L’America, invece, sta usando quelle, combinate, del giaguaro e del boa, con mosse rapidissime, per depotenziare la Cina soffocandone l’economia prima che diventi imbattibile. Ciò induce la Cina stessa a dover accelerare il passo dell’elefante per creare una sfera di influenza economica cinese grande abbastanza per permetterle di resistere alla stretta del boa: questo lo scopo dell’iniziativa “Nuova via della seta”. L’America a sua volta risponde dissuadendo gli alleati ed altri a diventarne stazioni o terminali. La Germania si conforma, ma non escludendo che la Cina vinca, mantiene relazioni profonde sottobanco con Pechino. La Francia fa lo stesso, così come il Regno Unito. I Paesi asiatici non vogliono condizionamenti cinesi. Ciò rallenta l’iniziativa cinese, ma Pechino, per accelerarla, offre vantaggi notevoli a chi è in necessità: Grecia, Iran, Turchia, nazioni africane, ecc. In sintesi, per la Cina l’Italia con problemi di debito e crescita è un boccone appetitoso, chiave dell’Occidente, che merita investimenti di seduzione.
Ma Roma deve stare molto attenta non solo a scambi sul debito, ma anche alle condizioni per ottenere che i porti italiani diventino terminali della Via della seta, con la complicazione di una posizione russa che in parte collabora con la Cina, in parte ne vuole limitare l’espansione nella regione eurasiatica, comunque puntando a controllare l’Europa orientale e Balcani per poi trattare con proprio vantaggio la relazione di questa area con la Cina stessa, la Germania indecisa. La questione macro e micro è complicatissima. Qual è la giusta linea? Concordare bene con l’America lo spazio di relazioni con Cina e Russia affinché l’interesse italiano mercantile, che è forte e in competizione con la Germania, trovi soddisfazione entro limiti ammessi dalla strategia statunitense per evitare ritorsioni dall’alleato principale e irrinunciabile. Inoltre, per il marchio Italia sarebbe controproducente alzare il livello della relazione con un regime cinese autoritario e repressivo. Da un lato, è comprensibile che il governo abbia difficoltà a calibrare interessi mercantilistici e geopolitici nella relazione con la Cina in questa situazione. Dall’altro, l’ambiguità certamente non è premiante anche perché sospettabile di essere frutto di penetrazioni cinesi nel governo. Non vedo motivi per accuse, al momento, ma certamente ne esistono per invitare il governo ad una maggiore chiarezza e consistenza strategica.