Il nuovo governo, per il momento, ha evitato nel summit informale di domenica scorsa la trappola preparata dalla Francia in materia di regole europee per la gestione di rifugiati e immigrati. Ma avrà molta più difficoltà a schivare il trappolone sul piano dei criteri per l’unione bancaria che sono oggetto dell’incontro tra i governi dell’Eurozona il 29 giugno, secondo giorno di lavori del Consiglio europeo. L’unione bancaria ha tre componenti: vigilanza unica, interventi in caso di crisi e procedura di finanziamento di questi. Le prime due sono state avviate, la terza trova problemi perché implica una condivisione europea del rischio a cui la Germania e altri sono ostili. La materia è complessa, ma è facile mostrare il trappolone per l’Italia: la mancanza di una funzione Bce di “prestatore di ultima istanza” che elimini i differenziali di rischio dei debiti nazionali.
Spiego. C’è una correlazione inversa tra spread e valore azionario delle banche italiane: se il primo sale il secondo scende. Poiché il debito italiano non ha una garanzia di ultima istanza, le banche che ne hanno in bilancio i titoli sono esposte a un rischio svalutativo maggiore delle concorrenti, non per carenze proprie, ma per un difetto di architettura generale. Sarebbe risolvibile il problema se le banche si liberassero da questi titoli? Cadremmo dalla padella nella brace perché si ridurrebbe sostanzialmente la platea di compratori del debito italiano aumentandone il rischio. Bisognerebbe ridurre lo spread tagliando il debito e aumentando la crescita del Pil? Certamente, ma a partire dalle condizioni odierne ci vorranno anni per riuscirci. Nel frattempo le banche italiane resterebbero esposte ad un rischio svalutativo anomalo, in violazione delle norme di concorrenza europea nonché dell’Articolo 47 della Costituzione che tutela il risparmio. Infatti l’Amministratore delegato di una grande banca italiana ha recentemente segnalato che la caduta dei valori azionari per motivi anomali ne abbatte il prezzo di almeno 4 volte, favorendo acquisizioni a sconto esagerato o, aggiungo io, rendendo vulnerabili gli istituti a richieste destabilizzanti di ricapitalizzazione anche pilotate da Stati che influiscono riservatamente sulla vigilanza europea. Fantapolitica? Forse, ma ci sono sospetti su azioni comunicative che hanno alzato lo spread (anche) allo scopo di portare i prezzi delle banche italiane o i loro bilanci ad un minimo tale da facilitare varie “operazioni avvoltoio”. Va sottolineato che uno degli scopi nominali dell’unione bancaria è proprio quello di de-correlare spread e valore delle azioni bancarie. Ma la Germania e altri rifiutano la condivisione del rischio con nazioni che ritengono disordinate, in particolare l’Italia. Comunque il punto è che il rischio bancario può essere ridotto e armonizzato non da misure settoriali per le banche, ma solo da un garante sistemico dei debiti denominati in euro. Oggi la Bce può esserlo solo in condizioni eccezionali di deflazione. Bisognerebbe, invece, aggiungere nello statuto della Bce su base ordinaria un meccanismo di garanzia per i debiti sovrani in euro qualora uno di questi subisse una crisi di fiducia. Se tale nuovo meccanismo ci fosse, lo spread non esisterebbe e sarebbe più facile la condivisione dei rischi nel livello sottostante del sistema bancario. La soluzione è sopra, non sotto.
La Germania non vorrà concedere tale garanzia a livello Bce. Preferisce un Fondo monetario europeo, per altro del tutto inutile come garanzia di ultima istanza, con missione di guardiano dell’ordine contabile delle nazioni nell’ambito di un modello dell’Eurozona dove ciascun Paese deve raggiungere il medesimo standard, indipendentemente dalle condizioni reali di partenza, espressione, appunto, dell’idealismo monetario tedesco opposto al realismo che, invece, ci vorrebbe. La Germania non cambierà posizione senza una forte pressione a farlo o almeno ad attutirla. Pertanto il governo dovrebbe, in bilaterale a porte chiuse, segnalare che la vigilanza europea non sta vigilando a sufficienza sui valori dei derivati (Level 3, in particolare) nei bilanci delle maggiori banche tedesche e francesi e che non se la sente di condividere un tale rischio – di centinaia di miliardi – fino a che questo non sarà precisato e ridotto. Si potrebbe aggiungere l’invito alla trasparenza delle piccole banche locali a guida politica in Germania dove c’è un buco oscurato dalla Bundesbank. E anche incalzare Berlino sul fatto che concede alla Francia di sfondare i parametri di debito e di deficit che è di fatto una condivisione di rischio implicito per tutto l’eurosistema. Non so se debole come è l’Italia possa ottenere qualcosa, ma so che se non lo tenterà il sistema bancario, del credito e della gestione dei risparmi (preda più ambita) resterà compresso a danno della ripresa oppure conquistato in modi non di mercato, impoverenti.