’America non ha ancora fatto un affondo contro il regime Erdogan, ma ha colto l’occasione di una crisi di fiducia autoindotta della lira (a causa della politicizzazione della Banca centrale e la familizzazione del ministero dell’Economia) che potrebbe farlo, segnalando un mancato sostegno finanziario. Questa posizione ha convinto il mercato finanziario non solo a fuggire dalla Turchia, ma a scontare un aumento della turbolenza geopolitica globale, cosa che poi ha orientato il flusso dei capitali verso il dollaro e nazioni con minor rischio sistemico, danneggiando i valori azionari e i titoli di debito dell’Italia perché classificata tra le nazioni a rischio. L’America ha un obiettivo dissuasivo: evitare che Ankara aderisca ad un’alleanza con Russia e Iran, nonché con la Cina, a ridosso dell’azione di sanzioni totali contro l’Iran stesso.
Recep Erdogan sta tentando di usare la minaccia di cambio di schieramento per ottenere condizioni vantaggiose da parte di Donald Trump. Ma questi difficilmente le concederà oltre un dato limite. Pertanto c’è il rischio di una sfida. Il motivo per cui gli strateghi di Washington non possono mollare la presa sull’Iran, e di conseguenza sulla Turchia, e che la guerra contro Teheran è un episodio locale di quella contro la Cina, ma importante perché riguarda il controllo futuro dell’Asia centrale, area critica dove le zone di influenza americana e cinese troveranno confine, ciascuna guerreggiando in diversi modi per spostarlo il più possibile a proprio favore, fatto rilevantissimo perché ciò influenzerà la scelta dell’impero russo – che al momento sta a guardare e solo apparentemente e/o contingentemente è procinese - con chi stare. Semplificando, è in corso di formazione un nuovo mondo bipolare dove i due blocchi maggiori, America e Cina, competono per includere quelli minori, Russia e Ue, e il resto delle nazioni. In tale gioco la Cina è in vantaggio per motivi di scala del proprio mercato interno, che è un moltiplicatore dell’influenza esterna, e può usare la strategia dell’elefante: dominio lento grazie alla stazza. Ma ha un punto debole: per molto tempo ancora la sua economia dipenderà molto dall’export, restando vulnerabilissima a restrizioni commerciali, perché la trasformazione verso un modello trainato da investimenti e consumi interni richiede evoluzioni complesse del suo mercato interno. Per tale motivo la conduzione Trump sta rispondendo con la strategia del leopardo: soffocare l’economia cinese con sanzioni e abbattere i regimi che potrebbero affiancare la Cina, il più velocemente possibile, anche per convincere con bastone e carota l’Ue a restare nel perimetro statunitense e dissuadere la Russia a mettersi contro, concedendole lo status di impero autonomo, ma collaborativo.
In tale contesto, sarebbe più salutare per Erdogan arrendersi e prendere almeno una posizione di neutralità collaborativa perché, appunto, difficilmente Washington potrebbe rinunciare ad abbatterlo e/o a sostenere, pur mossa solo di ultima istanza, un’insorgenza curda anche utile, oltre che a spaccare la Turchia, ad incuneare un nuovo Stato pro-americano (e non ostile all’Arabia e a Israele) nei territori turco, siriano e iraniano. Non è chiaro se Erdogan abbia capito cosa ci sia in gioco. Da un lato, ha certamente colto la rilevanza geostrategica della Turchia. Dall’altro forse non ha capito quanto lo sia sul piano globale e conseguentemente il rischio di tirare troppo la corda.
Su questo punto dovrebbe/potrebbe entrare in gioco l’Italia. Il suo interesse nazionale è che nel processo di formazione del nuovo sistema bipolare non ci siano turbolenze tali da farle soffrire (de)flussi di capitale alla ricerca di luoghi sicuri. Appunto, il mercato non considera l’Italia uno di questi per la bassa crescita combinata con l’alto debito e l’incapacità storica della politica di risolvere tale problema. Una più forte alleanza con l’America aiuta l’Italia, ma anche la mette in divergenza con il “sovranismo europeo” della Francia e il “neutralismo” della Germania, considerando il potere di ricatto che i due hanno su Roma. Pertanto l’Italia resta massimamente vulnerabile a turbolenze internazionali. Per ridurre tale vulnerabilità dovrà fare più crescita e ridurre il debito, ma ci vorranno tempo e probabilmente una nuova verifica politica interna per togliere dalla maggioranza la componente statalista-assistenzialista che tende a soffocare i potenziali di crescita stessa. Quindi è interesse vitale per Roma contribuire a convincere Erdogan ad arrendersi e a riprendere una posizione leale nella Nato per minimizzare la possibile turbolenza, togliendo una sponda all’Iran e facendo riflettere Mosca. Oppure contribuire alla destabilizzazione totale di Turchia e Iran per ottenere in cambio il sostegno del sistema finanziario statunitense, ma sarebbe migliore la prima opzione.