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Carlo Pelanda: 2018-7-17La Verità

2018-7-17

17/7/2018

Una convergenza reciprocamente utile ma difficile da realizzare

L’incontro Putin-Trump segna l’avvio di una nuova fase negoziale. I dossier concordati e discussi dagli sherpa dei rispettivi campi hanno un certo rilievo, ma in realtà servono a coprire il tentativo dei due leader di trovare un accordo riservato che al momento non può essere reso pubblico. Senza microfoni in quella stanza è impossibile conoscerlo, ma un’ipotesi può essere formulata analizzando gli interessi reali dei due leader.

Le stranezze comportamentali di Trump sono in parte dovute al carattere, ma in maggior parte alla situazione di estrema difficoltà in cui si trovano gli Stati Uniti. L’impegno militare americano nel globo resta superiore alla reale capacità di gestirlo. Da un lato, l’America non può rinunciare alla dissuasione via deterrenza, cioè perseguire la ritirata dal presidio mondiale avviata da Obama, perché destabilizzante. Dall’altro, se scoppiasse un vero conflitto l’America non potrebbe gestirlo senza distogliere capacità da altri possibili fronti, fatto che una potenza concorrente potrebbe usare per svelare che il re è nudo, cosa che aprirebbe lo spazio geopolitico a molteplici ambizioni di potenza sia regionale sia globale. L’America è ancora una superpotenza, ma il mondo si è “ingrandito” e un suo presidio implica risorse almeno cinque volte superiori a quelle disponibili. I costi della proiezione di potenza per eliminare il radicalismo islamico attuata da G.W. Bush in 65 nazioni e in forma di guerra di occupazione in Afghanistan e Iraq hanno destabilizzato l’economia statunitense. Infatti Trump sta incrementando la spesa militare sotto la soglia di quanto sarebbe necessario per mantenere la capacità di poter combattere due guerre contemporaneamente. Questo è il motivo, per esempio, per cui ha cercato l’incontro con Kim Jong un, probabilmente facendogli spiegare prima che l’America non poteva permettersi una guerra convenzionale e che quindi, in caso di necessità, avrebbe dovuto ricorrere a bombardamenti nucleari preventivi, inducendo Kim e una preoccupatissima Cina alla resa, pur finta. In sintesi, Trump è consapevole che non può né ridurre il presidio dissuasivo, come tentato da Obama, né farsi intrappolare in conflitti convenzionali come successo a Bush. Per questo ha bisogno di mettersi d’accordo con i possibili nemici dopo averli spaventati con la minaccia nucleare e/o ammorbiditi con quella di sanzioni economiche. Per inciso, avendo preso questa linea d’azione per necessità, Trump non ha ancora determinato quale vero valore abbiano gli alleati della vecchia Pax Americana in relazione alla linea stessa. Ciò spiega sia la contraddittorietà delle relazioni correnti sia la decisione, per intanto, di non farsi condizionare da loro nel gioco di dissuasione nucleare-economica per poi ottenere risultati diplomatici nel confronto con i veri possibili nemici.

Putin è consapevole dell’estrema difficoltà di Trump. Xi Jinping anche. Il secondo ha impostato una strategia di non confronto diretto con l’America, a parte qualche risposta nominale per evitare di essere defenestrato dai militari nazionalisti, convinto che alla fine il potere americano imploderà, stando solo attento a staccare con passi prudenti gli europei dall’America perché una loro riconvergenza avrebbe la forza di far svanire l’ambizione globale di Pechino, che deve passare per il dominio dell’Eurasia. In sintesi, Xi Jinping non ha interesse ad accordi veri con Trump, ma solo finti. Putin ha l’interesse di espandere e consolidare un’area di influenza russa grande abbastanza per evitare di essere assorbita dalla Cina, destabilizzata da un’Ue in espansione verso Est e contenuta dall’America, facendosi riconoscere come impero, fatto essenziale per aggregare il consenso interno influenzato da una cultura (e una chiesa) ipernazionalista. Probabilmente Putin ha interesse a fare un accordo vero con Trump, di cui un punto è la resa dell’Iran, se questi gli riconoscerà lo status di impero alla pari con reciproche sfere di presidio concordate. Quando Trump gli ha offerto il rientro nel G7 + 1, Putin ha rifiutato perché non può permettersi una divergenza con la Cina che al momento sta compensando il business perso dalla Russia a causa delle sanzioni. Probabilmente accetterà se si troverà un modo di toglierle, tentativo ostacolato da un gap di fiducia tra gli interlocutori, dalla russofobia di parte della burocrazia imperiale statunitense, forse anche incentivata dalla Cina che teme di perdere il controllo su Mosca, e dall’ostilità di alcuni europei. Ma penso che il tentativo ci sarà. Se così, la politica estera italiana dovrebbe ingaggiarsi per facilitarlo in quanto un buon rapporto con gli imperi americano e russo, tra loro collaborativi, ci difenderebbe meglio da quello franco-tedesco e aumenterebbe il potenziale di mercato per l’Italia esportatrice. La convergenza fra le tre Rome sarebbe un affare per la prima.

(c) 2018 Carlo Pelanda
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