Il capitale può circolare liberamente nel mondo e fugge dalle nazioni che non offrono sufficiente fiducia per remuneralo. Ogni nazione è a sovranità limitata in riferimento ai criteri del capitale. Ci sono due modi per riconquistarla e rendere significativo il voto democratico: o chiudere una nazione al mercato globale oppure organizzandone lo Stato per produrre fiducia agli occhi del mercato generando una “sovranità convergente” con il mercato stesso. La storia mostra come la prima opzione sia autodistruttiva e che quindi ogni nazione deve diventare sia molto ordinata sia molto competitiva. Molti demonizzano questa situazione di dipendenza dai criteri del capitale. Ma dimenticano due fatti. Tecnico: la libertà globale del capitale lo rende abbondante mentre una restrizione della sua circolazione ne ridurrebbe la quantità disponibile per ciascun individuo. Etico: la maggior parte del capitale finanziario globalizzato è formato da fondi e simili con la missione di finanziare le pensioni. In tal senso la convergenza, e non il conflitto, tra Stato e mercato è il presupposto per il capitalismo di massa: uno Stato offre crescita e ordine e il risparmio mondiale vi investe realizzando una ricchezza crescente per tutti. La scorsa settimana l’Italia ha mostrato un disordine totale e il capitale è fuggito o si è bloccato, per esempio calo della Borsa e rinvio di investimenti. Per evitare il collasso economico la politica si è subito riorganizzata allo scopo di segnalare ordine. Bene: il capitale ne ha preso atto, tornando positivo. Ma lo ha fatto solo in parte perché in attesa di segnali più precisi. Infatti i primi passi del nuovo governo dovranno rassicurare i mercati, interno ed esterno, affinché riducano il premio di rischio, che è un costo per tutta l’economia, per investire in Italia. Il primo appuntamento è la bozza di bilancio statale 2019 (Def) che tra pochi giorni deve essere inviata all’Ue, corredata dal Piano di riforme, per poi essere dettagliata in ottobre. Qui è importante mostrare che il bilancio resterà in equilibrio come prova concreta che l’Italia non vuole uscire dall’euro e che il suo contributo alla riforma delle regole europee è finalizzato a ripararne i difetti per rafforzarlo. Tria e Savona, con il quale chi scrive ha pubblicato Sovranità e ricchezza (2001) e Sovranità e fiducia (2005), hanno certamente tale intento di comporre l’interesse nazionale con quello europeo generale. Ma devono stare attenti a spiegarlo bene sia dentro il governo sia all’esterno.