Il tema specifico dell’Accordo di Caen tra Francia e Italia risente della poca capacità e attenzione delle istituzioni italiane per la tutela degli interessi nazionali nel settore della “territorializzazione delle aree marittime”, cioè della definizione di confini sul mare come se fosse terra. Infatti la bozza di tale accordo, in negoziazione dal 2006, siglato nel 2015 e in attesa di ratifica da parte dei parlamenti, risente molto della sostituzione di una strategia nazionale da parte del criterio burocratico-astratto stabilito dall’Onu (Unclos) di fissare i confini in base ad una geometria standard. Ma gli interessi geoeconomici e di sicurezza non necessariamente seguono linee geometriche. E certamente quelli italiani nell’area marina contigua a quella francese, nell’alto Tirreno e Mar di Sardegna, non possono essere perimetrati in base agli standard Unclos perché producono uno svantaggio per l’Italia e un vantaggio per la Francia. Infatti Parigi preme sull’Italia per realizzarlo, invocando lo standard Onu. I negoziatori tecnici italiani hanno cercato di difendere l’interesse nazionale, ma da una posizione debole perché hanno accettato il criterio geometrico invece di portare la trattativa verso un accordo bilaterale in deroga concordata e bilanciata bilateralmente dagli standard Onu stessi. Per tale motivo la tutela dell’interesse nazionale ha potuto limitarsi a poche cose, generando un accordo sbilanciato che regala alla Francia un enorme bottino in termini di spazio marittimo conquistato e fondali ricchi di risorse energetiche. Dovremmo criticare i nostri diplomatici? In parte sì perché tendono a proporre alla decisione politica – questa per lo più incompetente o distratta - un rispetto eccessivo degli standard internazionali anche in caso di danno all’interesse nazionale, questo percepito come bene secondario mentre l’aderenza a norme Onu o dell’Ue è valutato un bene primario. La critica maggiore, tuttavia, andrebbe indirizzata ai governi che hanno la responsabilità di un’inesistente conduzione strategica e, a quelli più recenti, per la sottomissione agli interessi francesi. Corruzione, reclutamento, ricatti? C’è ne è odore, ma sembra prevalere l’incompetenza se si considera anche l’assenza di un’adeguata azione dei nostri governi di tutela dell’interesse nazionale nell’area adriatica e in quella a sud della Sicilia. Ora che le esplorazioni geologiche mostrano che tutti i fondali attorno all’Italia sono pieni di risorse energetiche è evidente che non solo l’Italia deve affermare i propri diritti di sfruttamento, eventualmente estendendoli per tutela dell’ambiente o per sicurezza, per esempio nell’Adriatico e verso l’Africa, ma anche difenderli da chi vorrebbe impadronirsene.
Detto questo in generale, in particolare l’Accordo di Caen non è vigore perché privo di ratifica parlamentare. La Francia sembra voler forzare la situazione prima dell’insediamento di un governo meno manipolabile, considerando l’accordo già di fatto in vigore con la conseguenza di attivare un presidio militare sulle aree conquistate. Ma se attua un tale presidio, allora l’Italia dovrebbe interpretarlo come atto di guerra. Sarebbe irrazionale sparare ai francesi, ma l’essere pronti a farlo sarebbe utile come segnale che l’Italia è stufa di avere da decenni una Francia predatrice sul collo.
Resta il tema della ratifica in parlamento dell’accordo. La raccomandazione è di non ratificarlo, però con l’intento di trovare nuove collaborazioni “di sostanza” nelle aree di contiguità marittima in materia di pesca, sfruttamento dei fondali e tutela ambientale nonché presidio di sicurezza. L’Italia non ha interesse a perseguire frizioni con la Francia, cioè a una guerra tra poveri, ma a trovare collaborazioni alla pari di reciproco vantaggio. Il problema è che Parigi vede l’Italia come terreno di conquista sia per dominarne l’economia allo scopo di bilanciare il potere della Germania sia per eliminare un concorrente nel Mediterraneo e, soprattutto, nella vendita di armi. La sudditanza mostrata da Gentiloni a Macron accettando l’idea di un trattato bilaterale generale simile a quello franco-tedesco dell’Eliseo del 1963 (Trattato del Quirinale, ora in studio) tra Francia e Italia che di fatto formalizzerebbe la satellizzazione della seconda, non aiuta a convincere Parigi ad instaurare relazioni simmetriche con Roma. Per questo Roma deve dare un segnale di stop alle pretese francesi cancellando l’accordo di Caen e lo studio di un Tratto del Quirinale. Quando ci sarà un governo sperabilmente capace, poi, questo dovrà verificare la disponibilità preliminare di Parigi per accordi collaborativi bilanciati prima di avviare o riprendere qualsiasi trattativa settoriale nonché – in forma d’accordo tra agenzie di intelligence - per la rinuncia a mettere su libro paga politici e funzionari italiani.