La strategia “prima ti metto dazi e poi te li tolgo se fai il bravo” adottata dall’Amministrazione Trump appare aver generato un accordo con la Cina a favore dell’America. Ma a ben guardare segnala una debolezza degli Stati Uniti che dovrebbe essere valutata dal pensiero strategico italiano.
La Cina è un competitore prospettico dell’America capace di sostituirla come prima potenza del pianeta. Ma Pechino ha una strategia lunga per raggiungere tale obiettivo e nel frattempo non farà mosse azzardate che la mettano a rischio. Una di queste sarebbe quella di ingaggiare una guerra commerciale con l’America in una situazione in cui il modello economico cinese dipenderà ancora per lungo tempo dall’export perché è difficile trasformarlo in sistema trainato più dai consumi interni. Infatti Xi Jinping ha ceduto alle pressioni americane di riequilibrio commerciale, ed altre. Ma è stata per lo più una finta. L’ordine – brutale – di Pechino a Kim Jong un di aprirsi a negoziati, offerto a Trump in cambio di minore pressione sul riequilibrio commerciale, è nell’interesse cinese perché toglie motivi all’America di aumentare il presidio militare dell’area e al Giappone di diventare una potenza nucleare. Inoltre, permette a Pechino di tenere meglio sotto controllo i missili nucleari nordcoreani che ci metterebbero, in caso, un minuto a colpire Pechino. L’accettazione di norme che rispettino i brevetti e i segreti tecnologici delle aziende estere operanti in Cina è, in realtà, una mezza farsa perché lo spionaggio cinese è specializzato per rubare comunque tutta la tecnologia che serve. Poi, sui 200 miliardi di dollari di riduzione dello squilibrio commerciale richiesti dall’America, probabilmente ne resteranno poche decine. Lo staff di Donald Trump si è accorto che i cinesi stavano cedendo il meno possibile, nonché più figurativo che reale, e hanno ripristinato, come segnale dissuasivo, le sanzioni contro un’azienda cinese (Zte) che Xi Jinping in persona aveva chiesto a Trump di sospendere. Ma questi ha bisogno della Cina per ottenere successi esteri in tempo utile per le elezioni parlamentari di medio termine nel prossimo novembre e per togliere all’Iran una sponda che renderebbe meno pesanti le sanzioni statunitensi. In sintesi, è l’America che sta accettando un compromesso a tutto vantaggio della Cina. Diversamente dalle apparenze, il dato è che Washington non ha il potere sufficiente per condizionare la Cina e che sta accettando di fatto il lento e astuto emergere di una potenza mondiale superiore alla propria.
Questo punto riguarda la “Grande strategia” dell’Ue, e delle sue nazioni. La Francia a conduzione Macron, ma in linea con il progetto di De Gaulle, vorrebbe un’Ue terza forza mondiale, guidata da Parigi e difesa dal deterrente nucleare francese, cioè un profilo geopolitico indipendente con capacità di potenza globale. La Germania anche vorrebbe un’Ue terza forza, ma senza un profilo troppo marcato di potenza geopolitica per servire meglio gli interessi mercantilistici, considerando che il Pil tedesco dipende per più del 52% dall’export. La sintesi, al momento, è una posizione confusa dove Macron rumorosamente fa cose imperiali e Merkel silenziosamente le disfa, così rendendo depotenziata la collocazione mondiale dell’Ue come forza indipendente tra Cina e America. A Pechino ridono perché l’America è debole, l’Ue è debolissima e divergente dall’America stessa e la Russia da sola non può contenere l’espansione cinese nell’area euroasiatica, pur volendolo per non essere fagocitata. In prospettiva, America ed Europa occidentale divise sarebbero troppo deboli sia per impedire il dominio cinese sia per condizionarne i comportamenti mentre emerge. Roma è, al momento, destinata ad essere parte, tra l’altro poco influente, di un’alleanza atlantica ed europea ambedue perdenti nello scenario a 30 anni, con possibili danni agli interessi nazionali economici in quello di breve-medio. Considerando che le alleanze servono a moltiplicare la forza nazionale, per la sicurezza e il business, l’interesse nazionale italiano prospettico è partecipare ad un blocco euroamericano che sarebbe certamente il più potente del pianeta e non ad una Ue terza forza debole. In tale ottica, l’interesse di breve è impedire – facendo leva sulla Germania con interessi oggettivi compatibili – l’aggravarsi della divergenza euroamericana, intanto rinunciando ad ostacolare le sanzioni americane contro l’Iran come sta proponendo la Francia, tema in agenda questa settimana, su cui per correttezza il governo Gentiloni dovrebbe astenersi in attesa del nuovo esecutivo. Inoltre, il primo viaggio del nuovo premier italiano dovrebbe essere a Washington per segnalare l’ingaggio italiano per un accordo forte euroamericano, puntando ad un accordo bilaterale per promuoverlo. Un’America che si scopre debole, pur non ammettendolo, valorizzerà di più tale mossa.