Gli analisti di mercato stanno cercando di capire se il teatro coreano diventerà o meno nido per un cigno nero con effetti globali. Il timore è che dopo la tregua e le aperture diplomatiche tra le due coree in occasione delle olimpiadi di Pyeongchan, quella del Nord riprenda la strategia della tensione. Ma è improbabile perché la convergenza tra le due coree appare solida. Su queste pagine ho già anticipato che Moon Jae-in, nuovo presidente della Corea del Sud, ha probabilmente trovato un accordo con Kim Jong-un basato sul comune interesse a gestire tra coreani i problemi e limitare l’influenza straniera. La copertura nominalistica, ma non irrilevante, di tale dialogo è fornita dall’ipernazionalismo diffuso nelle popolazioni di ambedue le coree. L’accordo sostanziale, probabilmente, si basa su una rinuncia di Pyongyang ad eccessi aggressivi in cambio di aiuti economici e politici da parte di Seul. Infatti gli Stati Uniti fanno fatica a nascondere l’irritazione nei confronti Moon Jae-in accusandolo di ingenuità e annunciando misure dure, economiche e militari, contro il regime nordcoreano. In sintesi, l’America è rimasta spiazzata dalla riconvergenza tra coreani e farà di tutto per riportare Seul su una linea di pressione contro Pyongyang. Washington non può permettere che Kim Jong-un sviluppi un arsenale nucleare a vasto raggio perché ciò ne svaluterebbe potere di guardiano globale dando un segnale di debolezza agli alleati che confidano sulla sua protezione anche contro la Cina, in particolare Giappone, Australia, Vietnam e Taiwan. Ma non può pressare troppo Pyongyang se Seul non è d’accordo. E questa trova vantaggio in un atteggiamento duro, a parole, dell’America perché ne aumenta la rilevanza politica nei confronti di Pyongyang, ma deve trovare un modo per evitare un attacco reale. Abe ha capito il nuovo scenario ed è passato rapidamente da una posizione aggressiva del Giappone ad una di mediazione per ricercare un equilibrio del terrore, per inciso la miglior soluzione in questi casi. Anche per la Cina è conveniente la ricerca di un tale equilibrio, cosa che ne spiega il silenzio. Ma per l’America non è vantaggioso: se agisce si mette nei guai, se non lo fa anche. Pertanto raccomando agli analisti di probabilizzare gli sviluppi di questo teatro focalizzando di più il problema di un’America sotto scacco, perché sarà il suo comportamento a determinare o meno una crisi calda e contagiante. C’è una raccomandazione anche per gli strateghi di Washington? Certo: imparare a giocare a scacchi all’asiatica e rileggere Sun Tsu.