La pressione francese per convincere la Germania a rinforzare le istituzioni europee mostra la continuità della Grand Strategy concepita da De Gaulle nel 1963: usare l’Europa come strumento di moltiplicazione di una ormai troppo piccola forza nazionale prendendone il comando con una formula diarchica assieme alla Germania. Per inciso, quell’anno l’Italia fu espulsa dal direttorio informale della Comunità. Quando il potere della Germania riunificata, dopo il 1989, divenne superiore a quello francese, Parigi impose a Berlino l’euro come strumento per imbrigliarlo e confermare la diarchia, alla pari. Berlino rispose pretendendo che l’euro fosse come il marco, così germanizzando l’intera Europa e secondarizzando la Francia. Ora Macron punta a ribilanciare la relazione portando la collaborazione diarchica di più sul piano comunitario. La Germania, pur potendo cedere qualcosa, non accetterà mai un’Ue che ne condizioni la sovranità oltre i limiti del suo controllo né avrà interesse a formalizzare una posizione di dominio che è oggi nei fatti. In sintesi, il traino franco-tedesco non consoliderà l’Europa, lasciandola a metà e con direzione storica ambigua, pre-condizioni di futura crisi. Tale rischio suggerisce di rigenerare il pensiero strategico europeo con una nuova visione. La domanda principale dovrebbe essere: conviene all’Ue organizzarsi come supernazione introversa, modello attuale, o darsi una configurazione di “integrazione sufficiente” tra sovranità convergenti e reciprocamente collaborative, senza essere condivise? Nel primo caso si formerebbe un blocco regionale tra gli altri, in competizione. Nel secondo ci sarebbe un nucleo di alleanza consolidata tra democrazie aperta ad inclusioni non troppo desovranizzanti di altre democrazie, dovunque nel pianeta. E la missione storica dell’Ue sarebbe utilizzare il proprio esperimento integrativo interno per produrre ulteriori integrazioni esterne con lo scopo di formare nei decenni la Comunità globale delle democrazie, una Nova Pax, sostitutiva di quella americana, ma aperta all’America, per rendere maggioritario nel mondo il potere del capitalismo democratico e il dominio dei suoi standard. Al vecchio europeismo lirico, strumentale e provinciale bisognerebbe almeno iniziare ad aggiungere l’alternativa di un’Europa i cui confini sono definiti dalla democrazia e non da una geografia. Questa deprovincializzazione della strategia europea, oltre che più eccitante per gli europei, promette una produttività del business e profitti molto maggiore che non lo scenario di uno staterello europeo comunque scazonte.