Dopo un periodo di scenari apocalittici comincia ad essere più chiaro il requisito di adattamento dei sistemi sociali alla quarta rivoluzione industriale. Le profezie di sostituzione del lavoro umano con quello robotizzato con previsione di un calo assoluto del primo non trovano evidenze. Nella realtà si nota una pressione che spinge il lavoro a interagire meglio con gli automi. In particolare, si osservano molti casi dove i progettisti portano l’automazione di un processo non al 100%, ma a una percentuale inferiore, il resto della funzione affidato ad un operatore, o supervisore o controllore umano. Il motivo è che l’automazione totale, cioè la programmazione di tutti i casi possibili per una funzione, ha un costo enorme e l’inserimento dell’elemento umano lo riduce. In sintesi, più si robotizza e più c’è bisogno di umani che coprano quella parte di funzioni dove l’automazione avrebbe costi eccessivi e/o incompletezze. La domanda di lavoro umano, pertanto, resterà elevata, ma tenderà a polarizzarsi sul piano della qualità cognitiva richiesta, o altissima o bassissima. Più che un problema di disintermediazione assoluta, dovrà essere risolto quello di una spaccatura tra una massa sottopagata con competenze solo utili a integrare un processo automatizzato e persone con competenze adeguate per l’interazione produttiva con i macchinismi robotizzati. La soluzione è produrre una rivoluzione cognitiva di massa che renda diffusa socialmente la competenza di interazione qualificata con le nuove tecnologie. Ciò è ottenibile solo investendo più risorse sulla formazione di base e continua degli individui, trasferendo più lavoratori alle funzioni nobili e più remunerative dell’interazione uomo-macchina-sistemi informativi. Ciò è una priorità anche in vista di un ulteriore salto tecnologico che in effetti ridurrà, tra 20-30 anni, i costi della robotizzazione totale. In conclusione, la nuova missione dei modelli di welfare è allocare più risorse fiscali per la qualificazione del capitale umano riducendo quelle dedicate ad apparati pubblici e al protezionismo sociale, cioè a garanzie passive. Ma proprio per questo il passaggio da un welfare redistributivo ad uno di investimento sarà contrastato dagli attori con interessi di conservazione del primo che, infatti, preferiscono profetizzare l’ineluttabilità della riduzione del lavoro e sostenere la “salarizzazione” dei nuovi deboli invece che trasformarli in forti. Questo fattore determinerà quali nazioni aumenteranno o perderanno ricchezza nella quarta (e poi quinta) rivoluzione industriale.