I linguaggi dei partiti mostrano un “europeismo di inferiorità” espresso o come sudditanza alla diarchia franco-tedesca, lirizzata come adesione a un’Europa idealizzata, o come posizione divergente oppure rivendicativa, ambedue improduttive. E’ ora di generare, invece, un pensiero italiano attivo sull’Europa.
Per tutte le nazioni partecipanti l’Ue è un moltiplicatore della forza nazionale. Ma il pensiero politico italiano dovrebbe chiedersi, e porre la questione agli altri, quale configurazione del sistema europeo sia più produttiva per ciascuna delle sue nazioni. L’ipotesi di Confederazione europea trasformerebbe l’Europa occidentale in un blocco regionale in via di statalizzazione di circa 400 milioni di persone, in competizione con altri del mondo, parecchio più grandi. In particolare, l’ulteriore espansione dell’area europea sarebbe ostacolata dalla sua statalizzazione che imporrebbe a nuovi partecipanti una de-sovranizzazione eccessiva e per questo inaccettabile. Il punto: fare l’Europa significa dare agli europei un mercato troppo piccolo e introverso, cioè un danno. D’altra parte, il lasciarla destrutturata metterebbe a rischio il moltiplicatore della forza nazionale di ciascuno. C’è una soluzione al problema di non fermarsi a un’Europa troppo piccola e debole e allo stesso tempo sufficientemente strutturata? C’è: un’integrazione sufficiente tra nazioni in un modello aperto all’inclusione di altre democrazie. Invece di perseguire un modello di “sovranità condivise” per poi creare un Superstato europeo, si tratta di elaborarne uno di “sovranità convergenti e reciprocamente contributive” che resta allo stesso tempo strutturato da regole comuni, ma aperto ad ospitare nuove nazioni senza pretendere la loro rinuncia alla sovranità. Non sarebbe molto diverso da quello di adesso, nemmeno nell’Eurozona. Il criticabile, anzi orrendo, per molti aspetti “criterio tedesco”, ha, tuttavia, definito uno standard di area monetaria senza governo unico dell’economia: ogni nazione deve raggiungere un ordine economico e finanziario tale da non compromettere la stabilità della moneta unica. E in caso di crisi? Interverrebbe un Fondo monetario europeo, come ha proposto la Germania in sostituzione della proposta francese di un ministro unico dell’economia europea. Ci vorrebbe, in realtà, anche una più chiara funzione della Bce come prestatore di ultima istanza. Ma, poiché lo sta facendo, vuol dire che nel suo statuto c’è abbastanza flessibilità sul piano delle prassi, senza dover cambiare i trattati.
I motivi per proporre un’integrazione solo sufficiente e non eccessiva sono due. Né Francia né Germania vorranno una vera Europa confederale. La prima punta ad una maggiore integrazione europea per imbrigliare via vincoli istituzionali la Germania affinché questa non eserciti la sua potenza superiore e resti almeno partner alla pari nella diarchia franco-tedesca formalizzata nel 1963 da De Gaulle e che ora Macron tenta di rigenerare. Berlino non ha alcuna intenzione di cedere un grado di sovranità che non possa controllare. Pertanto, l’integrazione europea perseguita da questi due attori è finalizzata al loro dominio nazionale e non a un conferimento simmetrico di sovranità da parte di tutti ad un agente europeo. Ma è più importante il secondo motivo. Europa per che cosa? Per compattare una geografia o per integrare le democrazie del pianeta? La risposta dovrebbe essere: compattare a sufficienza la geografia per creare un nucleo grande abbastanza da attrarre altre democrazie in diverse geografie. Semplificando, se parlassi da un palco europeo direi: la missione dell’Ue è usare la sua esperienza integrativa per produrre ulteriori integrazioni nel mondo. L’obiettivo europeo comune dovrebbe essere quello di dare vita alla “Libera comunità delle democrazie”, facendo mercato unico con loro, in Asia, Americhe e altrove, e pertanto darsi la giusta configurazione – strutturata, ma aperta - per riuscirci e non chiudersi in uno staterello europeo introverso, tra l’altro incompiuto, per la patturnia francese di usare l’Europa come una grande Francia e quella tedesca di usare il dominio europeo per relazioni alla pari con altri imperi. Non direi così, ovviamente, ai francesi e tedeschi, ma marcherei il loro interesse nazionale, così come quello degli altri, a far parte di un mercato di miliardi di persone, soggetto attivo del nuovo ordine mondiale o Nova Pax. Questa idea d’Europa, oltre che promettere enormi profitti, è francamente eccitante perché la identifica non in base a una geografia, ma alla missione di espandere e consolidare la democrazia nel mondo. E’ un’idea liberale che spero il centrodestra valuti come proposta italiana per la missione storica dell’Ue, di cui l’Italia è azionista rilevante, uscendo dall’(anti)europeismo di inferiorità per aprirsi ad uno attivo e meno provinciale.