L’aggressività con cui la Turchia ha bloccato le operazioni di esplorazione di nuovi giacimenti di gas da parte dell’Eni a sud di Cipro, con concessione legittima da parte del governo di Nicosia, membro dell’Ue, non solo è assimilabile a un atto di guerra, ma dimostra, soprattutto, che c’è un difetto di dissuasione nei confronti di Ankara da parte dell’Italia e dell’Ue stessa. Invece di proporre per canali diplomatici le proprie ipotetiche ragioni – diritto del governo cipriota filoturco, che gestisce la metà nord dell’Isola, ad avere anch’esso un potere di concessione in una parte dell’area ricca di giacimenti – Recep Erdogan ha inviato navi militari con missione di interdizione che implica la possibilità del ricorso alle armi. Bisognerebbe mandare navi militari italiane per difendere il diritto della piattaforma Saipem 12000 a fare la sua attività esplorativa nel perimetro della concessione? La risposta dipende dall’individuazione di che cosa possa veramente far paura alla Turchia per costringerla a comportamenti più calmi.
L’ipotesi di un confronto nell’area detta non spaventerebbe Ankara. Anzi, le darebbe l’opportunità di pretendere più vantaggi per chiudere un conflitto a rischio di escalation. Appunto, la Turchia percepisce di avere una capacità di ricatto nei confronti dell’Ue, in generale, e dell’Italia che le permette di usare modi aggressivi per ottenere i propri obiettivi. E in effetti tale capacità ce l’ha: dalla possibilità di riversare un paio di milioni di profughi mediorientali verso l’est europeo, ora bloccati da un pagamento di miliardi di euro, in particolare da parte della Germania, al sostegno della Russia che è l’unico alleato su cui una Turchia in difficoltà sia interna sia esterna può contare. Gli Stati Uniti inviterebbero alla calma per non compromettere il residuo legame di Ankara alla Nato e le sue basi strategiche bilaterali in quel territorio. La Germania con tre milioni di turchi residenti sarebbe ancor più incisiva nell’invito alla calma. Della Francia, impegnata in giravolte spesso incoerenti finalizzate a inserirsi come attore nel teatro mediorientale, l’Italia non può fidarsi. Di suo, poi, l’Italia deve difendere un rilevante interscambio con la Turchia. In sintesi, non sarebbe né razionale né produttiva una risposta militare simmetrica.
Restano le opzioni di un’azione diplomatica e quella di una risposta asimmetrica. La prima implica concedere alla Turchia quello che chiede, via pressione riservata dell’Ue su Cipro-Nicosia: ti aiuto ad avere qualche spicciolo, in cambio non rompi le balle. Ma mollare sarebbe un errore. La Turchia, infatti, vuole penetrare più a fondo e in modi condizionanti nel bacino del gas che comprende il perimetro marino del Mediterraneo sud-orientale e un cedimento porterebbe nuove pretese con problemi per la buona posizione nel teatro ottenuta da aziende italiane. Quindi sarebbe necessario aggiungere un bastone, che ora manca, alla carota. Ma per trovarlo bisognerebbe capire se la Turchia si è mossa da sola o su spinta della Russia. Mosca osserva con preoccupazione lo sviluppo di un enorme bacino del gas, e relative infrastrutture, nel perimetro marino di Egitto, Gaza, Israele, Libano e Cipro, che potrebbe ridurre l’importanza del rifornimento di energia russa all’Europa. Già l’Egitto, grazie al giacimento offshore di Zohr scoperto e gestito dall’Eni, può puntare all’autonomia energetica e conseguente forza. Cosa ha in mente Mosca? Usare la Turchia, oltre agli Hezbollah libanesi filoiraniani, ma protetti dai russi, come strumento per inserire incertezza nel bacino del gas e ritardarne lo sviluppo? Oppure è la Turchia che vuole mostrare a Mosca che può aiutarla in questo per chiedere più sostegno? Non lo sappiamo. Quello che sappiamo grazie alle evidenze, però, è che è in atto la fissazione dei confini di influenza geopolitica in tutta l’area mediorientale e, in particolare, a ridosso del bacino del gas. Se Mosca vorrà esercitare un’influenza positiva e non destabilizzante dovrà cercare una fetta del tesoro, piuttosto che sabotarlo, trovando necessariamente collaborazioni tecniche che nel settore energetico implicano accordi geopolitici. Non lo sappiamo, appunto, ma l’Eni potrebbe fare una chiaccherata con Gazprom per capirlo, dopo un consulto con gli americani per evitare guai, considerando che il maggior punto di forza per Ankara al momento è la relazione con la Russia e che questa può calmare la Turchia, volendo. Ci sono altre opzioni asimmetriche più puntute, ma è inutile citarle perché il nostro governo resta vegetariano in uno scenario sempre più denso di carnivori. Comunque un gemellaggio tra un paio di città italiane e curde – in Turchia - su iniziativa privata, segnalerebbe che l’Italia può diventare molto cattiva se necessario