La scorsa settimana il centro studi di Confindustria ha rilevato che l’Italia è la settima potenza manifatturiera del mondo e la seconda in Europa. In questa classifica, che vede in testa Stati Uniti, Cina, Giappone e Germania si è mossa verso l’alto la Corea del Sud e restano indietro Francia e Regno Unito, mentre l’Italia mantiene la posizione precedente. Da un lato, tale posizione dopo la crisi recessiva 2011 – 14 che ha distrutto quasi 1/4 del sistema industriale nazionale e circa 800mila posti di lavoro - finora recuperati solo 60mila - mostra una sorprendente forza e qualità competitiva nell’export globale. Dall’altro, bisogna chiedersi se la posizione stessa ha una tendenza a scendere o a salire. Gli studi di chi scrive, per fondi d’investimento industriale, indicano un rischio di competitività decrescente. Pertanto il buon dato sopra riportato non deve essere rilassante, ma motivo per rafforzare sempre di più l’industria italiana, facilitandone in tutto i modi sviluppo competitivo ed espansione internazionale. Anche perché la coda della recessione sta colpendo ancora: i fallimenti aziendali, in generale, pur in riduzione tendono a essere superiori alla nascita di nuove imprese. Nel settore manifatturiero, in particolare, le aziende hanno di fronte a loro la sfida dell’adeguamento tecnologico nei loro processi produttivi e nella concezione di nuovi prodotti. Per esempio, l’Italia è un campione mondiale della robotica, ma ad alcune aziende pronte per utilizzare le eccezionali innovazioni sviluppate nei loro laboratori o in quelli universitari, mancano i soldi per gli investimenti futurizzanti di cui invece altri competitori possono godere. Le banche sono regolate in modo tale da non poter finanziare con strumenti di credito ordinario gli investimenti necessari. Il mercato dei capitali (Borsa, fondi di investimento, ecc.) pur in rapido sviluppo è ben lontano dal poter sostenere il fabbisogno di investimenti necessario all’adeguamento tecnologico. Il governo ha fatto molto nel settore attraverso gli incentivi 4.0, cioè la detassazione dell’acquisto di nuovi strumenti e della formazione delle competenze, ma non basta: bisogna trovare un modo per rivestire con più capitale le buone idee italiane. E quello più rapido è sia trasferire più risparmio negli investimenti industriali, come il governo ha iniziato a fare istituendo i fondi agevolati Pir, però da estendere, sia detassare totalmente gli autoinvestimenti delle imprese, nonché facilitare l’aumento di scala delle imprese stesse togliendo le barriere attuali.