Venerdì scorso la Commissione europea, che è delegata dalle nazioni a predisporre la piattaforma tecnica degli accordi commerciali esterni, ha chiuso l’accordo preliminare con il Giappone per un trattato di libero scambio il cui perfezionamento è previsto entro l’estate del 2018 per entrare in vigore nel 2019. Nello stesso giorno l’Ue e il Regno Unito hanno concordato il dare e l’avere reciproco nel divorzio, fatto che permette di avviare il negoziato finalizzato alla riammissione del mercato britannico in quello europeo. Ambedue le notizie sono molto positive per l’export italiano. La caduta di molte barriere doganali in Giappone favorirà, soprattutto, l’importazione di beni alimentari pregiati e di lusso italiani. La probabilità crescente, poi, che non ci saranno barriere doganali rilevanti nelle relazioni future tra Ue e Regno Unito riduce il rischio di un calo di volumi del notevole export italiano, motivo di preoccupazione fino a pochi giorni fa. La riconvergenza con Londra sarà un processo lungo e contrastato – il quanto si capirà già nel vertice europeo di metà dicembre – ma l’evidenza di una volontà collaborativa tra le parti promette uno scenario positivo. Il fatto che sia Theresa May sia Tokyo abbiano concesso molto, in relazione al loro impianto negoziale originario, per ottenere un accesso fluido al mercato europeo fa riflettere sulla sua nuova centralità globale: nessuna nazione può permettersi di lasciar fuori da questo i propri attori economici. Infatti, ci sono, o già depositate o in arrivo, almeno una ventina di richieste all’Ue di accordi commerciali, considerando la recente chiusura positiva di quello con il Canada (Ceta). Una semplice proiezione mostra che se tali accordi andassero in porto, il reticolo eurocentrico formerebbe un mercato integrato più grande di quelli con al centro l’America e la Cina. Recenti indiscrezioni fanno ipotizzare che Mosca stia cercando un futuro accordo con l’Ue per lo scopo, anche, di dipendere meno dalla Cina, di cui teme l’espansione, mentre Pechino sta facendo di tutto per “agganciarsi” all’Eurasia occidentale. Questa nuova dinamica dipende sia dalla scala ormai raggiunta dal mercato europeo sia dalla ritirata temporanea dell’America dalla posizione di centralità globale. Il vantaggio dell’Italia, quinta potenza manifatturiera mondiale, è evidente in tale scenario, ma lo sarebbe di più se i mercati europeo e statunitense riprendessero la strada dell’integrazione, congelata a inizio 2017, invece di entrare in una pericolosa competizione geopolitica.