La ripresa economica è confermata dai dati più recenti. La crescita del Pil nel secondo semestre, pur ancora in attesa dei dati Istat, dovrebbe essere vicina allo 0,4% rendendo probabile il suo ricalcolo più recente per fine anno attorno all’1,3%. La stagione turistica sta andando bene, aiutando i consumi a contrastare la stagnazione interna, la produzione industriale tiene, la Borsa italiana è tra quelle al mondo che, dopo la caduta, sta dando più soddisfazione agli investitori e le imprese ricominciano a investire. La fine della crisi bancaria sostiene il ciclo del credito e la fiducia sulla tenuta del sistema, fatto che riverbera positivamente sul costo di rifinanziamento del debito, ora in calo. Questa crescita, per altro inferiore alla media europea, sta avvenendo nonostante il motore economico interno dell’Italia sia ancora fermo perché è molto forte il traino esterno, cioè la domanda globale che sostiene l’export, flussi di capitale da turismo, masse straordinarie di liquidità grazie alla politica (iper)espansiva della Bce. Se tale traino esterno diminuisse, l’Italia non avrebbe, ora, la forza interna per mantenere la crescita. Già negli scenari spunta la correlazione tra una leggera riduzione del traino esterno, combinata alla riduzione progressiva dell’azione stimolativa della Bce e un ritorno dell’Italia a una crescita minore nel 2018, attorno all’1%, forse sotto. Pertanto bisognerebbe fare adesso uno sforzo per riaccendere il motore interno. Il governo ha annunciato che non trova spazio di bilancio per detassazioni stimolative e/o investimenti pubblici importanti, con questo mostrando che non ha la forza in Parlamento per attivare una politica economica espansiva. Inoltre, il governo sta dando priorità – in divergenza con il suo azionista politico che ritiene utile per il consenso un maggiore ricorso al deficit - al rispetto degli impegni europei per ottenere in cambio una minore pressione sul riequilibrio finanziario a livello di deficit ammesso e di riduzione del debito complessivo. Da un lato, tale scelta è corretta perché la priorità dell’Italia è riconquistare la fiducia del mercato e dell’Ue. Dall’altro, l’immobilismo stimolativo manterrà un peso fiscale che sta bloccando le piccole imprese e togliendo reddito a professionisti, artigiani, dipendenti privati e commercianti. Se lo Stato non lascerà agli attori del mercato interno più denaro, tagliando le tasse, allora occupazione, salari, investimenti e consumi resteranno depressi rendendo vulnerabile l’Italia a nuove crisi o comunque stagnante.