Geopolitica economica. Dal 2011 le aziende italiane hanno perso un volume rilevante di affari nell’area mediterranea. A metà 2017 non solo non si vede una tendenza al recupero delle posizioni, ma cresce il rischio di peggioramento delle stesse in tutte le nazioni costiere, forse con l’eccezione di Montenegro, Tunisia, Marocco. Se poi si tenta di valutare il “costo opportunità” prospettico della tendenza negativa, si trova una perdita molto maggiore. Gli scenari indicano la costa meridionale del Mediterraneo tra le zone a maggiore crescita demografica del pianeta. Le analisi per lo più classificano tale fenomeno come rischio migratorio. L’analisi geoeconomica, invece, dovrebbe chiedersi quanti frigoriferi, alimenti, auto, desalinizzatori, condizionatori, abbigliamenti, prodotti finanziari, ecc. potranno essere venduti a tale massa crescente e giovane. Il punto: in questi mercati la penetrazione commerciale dipende da accordi con i governi, per lo più regimi autoritari, dove lo spazio per la libera concorrenza è minimo. Senza sostegno di una politica estera adeguata, le aziende non hanno chance di penetrazione. I dati citati in apertura segnalano che la politica estera italiana non riesce a tutelare gli interessi nazionali nel sommovimento di questo teatro. Da un lato, è comprensibile che Roma sia rimasta inizialmente sorpresa e immobilizzata dal fatto che i principali alleati - Europa via Francia e Stati Uniti (Obama) - abbiano preso iniziative controproducenti per l’Italia senza consultarla. Dall’altro, è imperdonabile che non sia riuscita ad adattarsi alle nuove condizioni per ripristinare il sostegno (geo)politico all’espansione del business italiano anche perché gli altri competitori – Francia, Germania, Stati Uniti, ecc. – ci sono riusciti con profitto crescente. Opzioni? Questo è un tipico caso di strategia degli accordi multivariati selettivi: con la Francia offrendo supporto militare in Africa settentrionale-occidentale in cambio di accesso al business; con l’Egitto riaprendo gli affari in cambio del consenso per dargli la Cirenaica; con la Turchia – prima controllando gli umori dei sauditi wahabiti – più affari in cambio di aiuto diplomatico per ridurre l’isolamento, ecc. I dettagli fanno parte di una politica estera professionale. Per stimolarla, qui, va ricordato che un diplomatico si merita lo stipendio solo se porta a casa affari, che un governo va valutato più attentamente in questa materia e che tutti i soldi che l’Italia spende per una megamarina militare hanno senso solo se trasformati in investimenti per ottenere multipli di profitto.