L’economia globale mostra una crescita solida, pur ancora lenta, e ciò favorisce il ciclo del commercio internazionale e le nazioni esportatrici, molto la Germania, ma tanto anche l’Italia. Il timore di una svolta protezionista dell’Amministrazione Trump, considerando che l’America è il maggior importatore del pianeta e quindi la più grande leva che sostiene la domanda globale, si è molto ridotto. In particolare, il recente accordo tra Cina e Usa ha mostrato con chiarezza quale sia la nuova politica commerciale statunitense: non protezionista in generale, ma finalizzata a riequilibrare il dare e l’avere nelle relazioni bilaterali. E si può intuire che il riequilibrio di tali relazioni non coinvolga solo i flussi economici, ma possa toccare anche convergenze (geo)politiche. Ciò è importante per l’Italia perché è sotto esame americano per un surplus commerciale di oltre 40 miliardi. Roma non può siglare trattati commerciali bilaterali di riequilibrio con Washington perché tale facoltà è delegata all’Ue. Ma ha la possibilità di evitare dazi attraverso convergenze politiche con l’America, per esempio un impegno più incisivo per la sicurezza del Mediterraneo e di maggior contributo alle spese della Nato, comunque di interesse nazionale. Contribuisce al ritorno dell’ottimismo anche la ri-convergenza franco-tedesca, pur non ancora chiaro come questa si trasformi in riparazione dei difetti depressivi dell’Eurozona. Restano nel mercato turbolenze, per esempio la volatilità dei prezzi petroliferi e di alcune materie prime, e incognite tra le quali la più importante riguarda la tenuta del ciclo espansivo delle Borse americane – ininterrotto dal 2009 e quasi “a tetto” – ma tali rischi non stanno intaccando il ritorno dell’ottimismo, pur rendendolo ancora cauto. L’economia italiana, appunto, è favorita da questo clima che ne spinge l’export e attira investimenti sulla sua Borsa. Ma la crescita resta minima e insufficiente, ultima in Europa, e l’ottimismo si sta diffondendo di meno e meno rapidamente nel sistema economico e sociale in comparazione con altre nazioni in fase di ripresa. Probabilmente più incentivi fiscali agli investimenti nei settori ancora stagnanti, una chiusura più rapida della questione bancaria, una maggiore velocità nel realizzare gli investimenti pubblici infrastrutturali e un atteggiamento più pragmatico dei sindacati per dare flessibilità ai contratti di lavoro, darebbe all’Italia una probabilità di crescita del Pil 2017-18 verso un salvifico 2% togliendola dall’attuale tendenza stagnate attorno all’1%.