Il documento programmatico siglato a Roma dai 27 capi di governo dell’Ue è solo retorica oppure contiene indirizzi concreti? Avrà conseguenze perché è stato formalizzato, pur in modi smussati dalla diplomazia, un nuovo modello d’integrazione differenziale. Parecchi analisti avvertono che gli scenari potranno diventare più chiari solo dopo le elezioni in Francia, in maggio, e in Germania, a settembre, quando si vedrà la forza delle offerte eurodivergenti. Ma in Germania è molto probabile una nuova coalizione tra socialisti e democristiani, incerto solo chi la guiderà. Anche se Marie Le Pen fosse eletta alla presidenza, difficilmente avrebbe il consenso parlamentare e popolare per avviare una “Frexit” e dovrebbe ricalibrare il suo nazionalismo entro la permanenza nell’Eurozona. Poiché è interesse nazionale e nazionalista della Francia mantenere in vita la diarchia con la Germania, e viceversa, sull’Europa, appare realistico segnalare che le probabilità di dissoluzione dell’euro e dell’Ue per volontà francese o tedesca sono minime. Infatti, il mercato finanziario sta tornando a investire nell’Eurozona non solo per i dubbi crescenti sulla tenuta della crescita economica americana, ma per una percezione di eurostabilità crescente. Altra questione è se la nuova formula differenziale d’integrazione europea potrà essere veramente stabilizzante. Questa, semplificando, porterà a un governo specifico dell’Eurozona (19 nazioni) in qualche modo separato da quello dell’Ue con regole e istituzioni più compattanti: unione bancaria, creazione di un Fondo monetario europeo, procedure più stringenti di rispetto dell’ordine finanziario ed economico, ecc. Il problema è capire se tutte le 19 euronazioni potranno restare dentro e a quali condizioni, in particolare l’Italia. Per Roma il nuovo modello sarebbe vantaggioso se fosse attivato un metodo dei “contratti nazionali” che permettano a una nazione di rispettare gli standard dell’Eurozona in tempi e modi adeguati alla propria specificità, con il consenso degli altri. Sarebbe svantaggioso, invece, se fosse reso più stringente e senza flessibilità il vincolo di adeguamento in tempi brevi perché l’Italia con molto debito e poca crescita dovrebbe scegliere tra uscita e commissariamento, considerando che un’Eurozona più compattata sarebbe meno vulnerabile alla perdita dell’Italia stessa e di altri. Questo è il punto critico e concreto che si può intravedere ora tra le righe della dichiarazione di Roma e che suggerisce all’Italia rapide azioni preventive sia diplomatiche sia di riforme interne.