Next Economy
Di Carlo Pelanda
Co-Direttore, GLOBIS, University of Georgia
Per “Next Economy” intendo un oggetto di ricerca definito da tre considerazioni: (a) la rivoluzione tecnologica in atto esibisce una fortissima discontinuità con il recente passato; (b) quindi è probabile che anche l’economia muterà in forme altrettanto discontinue; (c) anche se l’orizzonte di realizzazione della “prossima economia” è ancora del tutto incerto, il cambiamento potrebbe avvenire repentinamente proprio per le proprietà accelerative dell’irruzione di nuove tecnologie. In tal senso la “prossima economia”, pur essendo solo futuribile, va vista come un oggetto rilevante per le strategie aziendali del presente. Approfondiamo i singoli punti.
- A) Sarà veramente una discontinuità? Nell’orizzonte che abbiamo di fronte si stanno affacciando alcune tecnologie che potremmo definire di novità assoluta e non solo relativa: la creazione di vere intelligenze artificiali; la possibilità di modificare le basi germinali della vita; il dominio dei livelli profondi della fisica. Questi tre nuovi poteri cognitivi, e l’interazione amplificante tra loro, fanno prevedere un mutamento di ciclo macrostorico, se mi perdonate il termine: in circa diecimila anni la tecnologia è evoluta lungo un sentiero orientato dal desiderio/necessità di dominare la natura e la materia, ma riuscendolo a fare entro vincoli di modificabilità piuttosto rigidi. Nel prossimo futuro tali vincoli saranno minori grazie all’irruzione di tecnologie in grado di modificarne i meccanismi di base e, quindi, di allentarli e di permettere più opzioni creative. Questa è la linea di confine che separa due epoche: dalle tecnologie adattive a quelle autogenerative. Tale discontinuità non si è ancora notata appieno perché non tocca le linee di evoluzione culturale. Per esempio, l’atto di piegare le funzioni naturali a scopi agricoli o quello di costruire una casa in legno non è concettualmente diverso da quelli di reingegnerizzare piante ed animali e costruire robot pensanti: sono azioni entro una cultura costante del dominio. Ma è enorme la differenza tra prossimo futuro e recente passato nella potenza tecnica con cui si riuscirà a farlo. Sarà discontinuità: prima più tecnica che culturale, ma subito dopo la cultura dovrà adattarsi alla nuova tecnologia. Significa, soprattutto, che le idee del passato, anche recentissimo, non saranno più utili per capire e gestire il nuovo prossimo venturo.
- B) Che impatto avrà sull’economia il movimento che si sta annunciando? Qualche previsione, indicativa, è possibile in base alle tendenze in atto senza cadere nella profezia infondata o nella fantascienza.
Certamente possiamo aspettarci un mutamento nei processi industriali basato sulla disponibilità di automi sempre più intelligenti. Finora tale previsione è stata coltivata da chi era preoccupato che per tale motivo finisse la domanda di lavoro. Questa è una considerazione frettolosa in quanto il lavoro è un fluido e non un sasso indeformabile. E’, invece, probabile che la disponibilità di automi superintelligenti permetterà di costruire oggetti mai visti prima e, soprattutto, individualizzati: un manufatto per ogni singolo cliente senza perdere efficienza industriale. Tale destandardizzazione darebbe nuova vita, varietà di espansione e profittabilità al settore manifatturiero. Quindi la Next Economy si presenta come un rilancio della produzione di oggetti, ma entro schemi di produzione (la fabbrica) totalmente diversi dal passato. Prevederli ora è impossibile, ma è chiaro quale sia il compito strategico degli imprenditori più futurizzanti: pensare già da ora a come potrà essere un sistema di fabbricazione basato su automi veramente intelligenti (decisioni consapevoli, autoprogettualità) che possa costruirne altri e gli oggetti. Tali automi sono già in sperimentazione preliminare. E perfino oggetto di preoccupazione: Bill Joy, direttore scientifico della Sun Microsystems, teme che nel 2030 tali macchine e loro sviluppi laterali (basati sull’interazione tra intelligenza artificiale, biomeccanica e nanotecnologie) potranno raggiungere autonomie coscienti tali da sostituire l’uomo stesso e generare catastrofi collegate. In realtà tale profezia appare esagerata, ma è utile citarla (la si può leggere su Wired, aprile 2000) per mostrare quanto la comunità tecnica stia già scontando nel presente questo scenario futuribile.
Internet diventerà Hypernet. Il problema della prima è che la sua efficienza nel veicolare informazione si blocca a livello di terminali stupidi. Se questi diventano più intelligenti si potrà allungare fino alle funzioni di uso diretto l’efficienza informativa della rete, così esaltandola. Per esempio, oggi mi connetto con un’enciclopedia medica per capire un sintomo. Il dato mi arriva, ma ciò non mi cambia di molto le cose. E il valore economico dell’informazione resta bassino nonostante sia elevato quello cognitivo. Se a tale enciclopedia, trasformata in sistema esperto, si connette un automa con capacità diagnostiche che sta in casa mia, allora l’efficacia diretta dell’informazione aumenterà e così il suo valore economico. Quindi la valorizzazione commerciale della rete dipende dall’intelligenza dei terminali, non da contenuti veicolati indipendentemente dalle capacità di questi. Tale fatto diventerà un paradigma quando i terminali diventeranno più evoluti. In questo senso sarà Hypernet. E permetterà: iperlogistica, iperdelocalizzazione, iperflessibilità, iperprodotti.
Questi due esempi tra i mille possibili, di cui i più modificativi e delicati sono quelli legati alle nuove biotecnologie, lasciano intendere quanto il cambiamento tecnologico provocherà riorganizzazioni di novità assoluta e non solo relativa nel mondo dell’economia produttiva. Appunto, una discontinuità e relativa nuova sfida competitiva.
- C) Ma quando arriverà? Da una parte, i potenziali tecnologici esistono già e sono visitabili. Dall’altra, i tempi di sviluppo dipendono da condizioni sociali e di mercato. Bisogna mettere in conto alcuni effetti ritardanti. Gli enormi investimenti finanziari necessari alla realizzazione applicativa di molte nuove tecnologie. Barriere morali alle novità, per esempio nel settore biologico. L’abitudinarietà sociale che deprime la domanda di novità assolute. Per esempio, una casa fatta con schiume solidificanti in cinque minuti, con interni robotizzatati, autopulentesi sarebbe un prodotto troppo nuovo che spaventerebbe. Poi bisogna mettere in conto due fatti problematici. I nuovi prodotti implicano un capitalismo di massa capace di acquistarli. E la politica, nella maggior parte del pianeta, è lontana da questo obiettivo (quella monetaria e la finanza, invece, sono più avanti nel fornire le basi per il “denaro abbondante” nell’ambito del controllo dell’inflazione). Soprattutto presuppongono un aumento dell’istruzione media utile a capire e a gestire il nuovo. Ma se il consumatore deve essere più cognitivamente capace, il produttore dovrà diventarlo dieci volte di più: l’operaio di domani dovrà sapere tanto quanto un ingegnere di oggi. Tutti questi fattori lasciano prevedere che il cambiamento sarà rallentato da una forte spugnosità sociale.
Tuttavia è molto probabile che lo sfondamento della discontinuità tecnologica possa avvenire presto (entro 5-10 anni) in settori specifici dove l’effetto ritardante è minore. Al primo successo (anticancro o antisenescenza, per esempio) delle terapie geniche, tutto il settore della rivoluzione biologica sarà accelerato nel giro brevissimo di un anno perché dal dissenso si passerà al consenso entusiasta. Il primo visionario che riuscirà a realizzare con successo le nuove frontiere dell’automazione creerà un esempio che dieci altri seguiranno in pochi mesi. Ed in poco tempo l’ambiente concorrenziale sarà terreno di caccia di un nuovo predatore. Più certo, il riarmo americano userà molte “tecnologie della discontinuità” (intelligenza artificiale, sistemi MEMS, nuovi materiali, armi ad energia diretta, ecc.) per ottenere la superiorità assoluta. Lo spin-off di tale sviluppo avrà conseguenza accelerative nel mercato civile. In conclusione, lo scenario dovrebbe essere ancora lento ed ambiguo per tre - cinque anni, ma poi potrebbero cominciare in ogni momento i fuochi d’artificio e la nuova sfida concorrenziale. Quindi mi sembra razionale raccomandare che la Next Economy debba entrare già da oggi nei calcoli delle strategie aziendali.