C’è qualcosa di più sotto gli scandali Arcobaleno, ricostruzione mancata nelle Marche ed Umbria e tanti altri fatti che riguardano la funzione di protezione civile. Sono tutti sintomi della debolezza, caoticità e disorganizzazione di tale istituzione. Questo è il dato di fondo – alla base dei singoli fattacci - che dovrebbe spaventarci: la Protezione civile non funziona.
Se pensate che esagero provate a controllare quanto segue. Abitate in un’area a rischio vulcanico, per esempio le pendici del Vesuvio abusivamente urbanizzate? Qualcuno vi ha detto qual è il rischio che correte o dato una mappa ed allegato foglio di istruzioni per sapere almeno dove andare e cosa fare al primo segnale che potrebbe esserci un’eruzione? No. Vivete nei dintorni vulnerabili alle frane fangose, tipo quella di Sarno e Quindici? C’è in atto un piano di difesa o di spostamento degli insediamenti? No o troppo poco. Abitate in una valle a rischio di frana, sulle Alpi o negli Appennini, oppure in qualche luogo esposto al rischio di inondazioni? Vi siete esercitati per evacuazioni rapide in caso di allarme dovuto a precipitazioni molto intense? No. Vivete in aree catalogate ad alto rischio sismico? Sapete cosa fare in caso di terremoto? Un ingegnere del vostro comune è venuto ad analizzare la stabilità della vostra casa? Qualora avvenisse il disastro e la casa fosse da ricostruire, avete notizia di una legge quadro nazionale (prevenzione di terzo livello) che attivi procedure di urgenza, scorciatoie per i finanziamenti, che definisca il rafforzamento (ed il controllo) degli uffici tecnici comunali e tante altre misure che favoriscono un ripristino il più veloce possibile della normalità? No. Ho ancora in mente il maggio del 1986 quando vi fu l’incidente di Chernobyl e l’allarme dato in modo zingaresco che forse eravamo tutti sotto rischio di contaminazione. Se ricordate, nessuno di noi riusciva a capire cosa fare. Perché non c’erano standard di valutazione, sistemi di monitoraggio e, soprattutto, una funzione di governo predisposta ed esercitata per tali emergenze. Ciascuno di noi ha gestito la situazione con teorie proprie (io mi sono quasi avvelenato per tutto lo jodio che ho ingurgitato). E’ passata. Ma se capita domani un altro evento del genere, magari questa volta veramente pericoloso (tipo biocontaminazione incidentale o di fonte terroristica), pensate che saremo più preparati a gestirla, alla luce di quello che c’è oggi? Se confermate le risposte negative a tute queste domande, allora vuol dire che in Italia la Protezione civile (come funzione nazionale e locale) semplicemente non esiste, indipendentemente dai tanti uffici e sigle con tale nome (salvo gli eroici volontari che, alla fine, mettono una zeppa almeno in fase di soccorso).
Lo scandalo della missione Arcobaleno, i disastri fangosi e le mancate ricostruzioni correntemente ai disonori della cronaca sono la punta dell’iceberg. La montagna è costituita dal fatto che non c’è alcuna prevenzione e seria protezione civile. Queste parole servono a segnalare che i singoli fattacci sono il sintomo di qualcosa di ben più grave e sistemico. Ed è su questo che dobbiamo intervenire, intanto come pressione di opinione pubblica.Evochiamo un principio già da tempo stabilito dall’Onu e da noi non rispettato. Le catastrofi possono essere evitate o minimizzate nelle loro conseguenze grazie alle nuove conoscenze. Esattamente dieci anni fa lavoravo come economista nel gruppo tecnico che stava predisponendo, su mandato del Segretario generale delle Nazioni Unite, il decennio per la riduzione delle catastrofi a livello globale (IDNDR). I calcoli mostravano che se si spende dieci in prevenzione si risparmia cento in termini di danno e costo di ricostruzione o ripristino. Soprattutto, con il beneficio di ridurre al minimo le vittime. Ciò significa che la morte da disastro non è un incidente, ma conseguenza diretta di una mancanza da parte delle istituzioni. Senza una Protezione civile seria lo Stato è, di fatto, assassino per noncuranza. Risponda il governo a questa accusa che trova fondamento nella evidente superficialità con la quale gestisce la nostra sicurezza.