Alan Greenspan, presidente dell’autorità monetaria statunitense, sta tentando di far fare un “atterraggio morbido” all’economia americana, Questa cresce troppo e c’è rischio di far scoppiare l’inflazione e di rendere insostenibile il deficit commerciale (eccesso di importazioni). L’obiettivo finora comunicato è di riuscire a contenere, per il 2000, l’aumento del Pil tra il 3,5 ed il 4%. Il metodo principale a disposizione è quello di alzare il costo del denaro in modo tale da ridurre la quantità di capitale che alimenta la domanda e, quindi, di calmierare la crescita americana. Ma questa sta volando vicino al 5% annualizzato nonostante che da quasi un anno Greenspan stia rialzando i tassi poco per volta. Evidentemente il mercato non ha ancora reagito o voluto tener conto della stretta monetaria effettuata in modo così morbido e graduale. Per questo, due settimane fa, Greenspan ha deciso di fare il cattivo attuando un rialzo dei tassi (Fed Funds) dello 0,50%, portandoli al 6,5% e minacciando di farli crescere fino al 7% ed oltre se il mercato non si da una “calmata”.
Il punto, semplificando, è quello di riuscire a moderare la voglia di spendere degli americani, e di prendere a prestito denari per speculazioni in Borsa, senza gettarli, per altro, nel pessimismo ed in recessione. In effetti, ad aprile, c’è stato un leggero calo dei consumi al dettaglio perché l’aumento dei tassi di riferimento nei mesi scorsi ha reso più costoso l’acquisto con carta di credito. Inoltre, nonostante la piena occupazione (i senza lavoro sono al minimo storico del 3,9%) l’inflazione strutturale (cioè esclusi i prezzi dell’energia e del cibo) pare ancora sotto controllo. Infatti, ad aprile è aumentata solo dello 0,2%. Se continua così e se il prezzo del petrolio non aumenta, l’inflazione complessiva nel 2000 potrà forse stare sotto il 3% (2,7% nel 1999), cosa che ridurrebbe la priorità di raffreddare l’economia al costo di mandarla in crisi. Inoltre ci sono i segni che sta iniziando un piccolo rallentamento della crescita. Che potrebbe fermarsi attorno al 4,5% per l’anno in corso. Non sarebbe quel 3,75% che Greenspan ritiene un “atterraggio morbido”, ma indicherebbe comunque l’avvio di un calmieramento spontaneo che non richiede di aumentare i tassi di riferimento sopra il 7% e, conseguentemente, di rischiare una crisi economica improvvisa per eccesso di stretta monetaria. Ma tutti gli altri dati più recenti confermano che la locomotiva sta ancora accelerando. La produzione industriale è aumentata, in un mese, dello 0,9%. L’uso degli impianti manifatturieri è salito all’82,1% dallo 81,7. Soprattutto, la domanda di nuove case è schizzata al 2,8%, un dato critico. Questo vuol dire, in particolare, che i precedenti rialzi dei tassi, quindi del costo dei mutui, non ha scoraggiato gli acquisti di nuove abitazioni. In sintesi, prevale nel mercato statunitense un enorme ottimismo espansivo che lo rende poco sensibile alle strette monetarie calmieranti. Ed è proprio da questo fattore psicologico che nasce il rischio. La Fed potrebbe essere costretta ad esagerare la stretta monetaria per riportare alla realtà il mercato. Ma il risveglio potrebbe essere troppo brusco, portando il sistema da un eccesso di ottimismo ad uno di pessimismo, con conseguente improvvisa recessione. E una situazione difficilissima da gestire per la Fed. Un solo piccolo errore, a questo punto, nel manovrare i tassi, o nel dare messaggi al mercato, potrebbe scatenare la crisi.
Tale ipotetico scenario di “crash” (recessione improvvisa) è preoccupante non solo per gli americani, ma per tutta l’economia mondiale. Se, infatti, venisse improvvisamente a mancare la locomotiva statunitense ci sarebbe il rischio di crisi per tutto il mercato globale. Europa e Giappone non sono ancora in grado di assorbire le esportazioni dal resto del pianeta come sta facendo ora l’America. La prima resta molto depressa sul piano interno – per motivi di ingessamento politico dell’economia - e sta crescendo solo grazie alla leva dell’export dovuta alla svalutazione dell’euro. Lo stesso può dirsi per il secondo. In tali condizioni, se il dollaro ed i consumi americani cadono improvvisamente, Europa, Giappone, Cina e America Latina andranno in recessione o stagnazione. Se, invece, la miracolosa economia americana continuerà a crescere entro un binario più equilibrato, allora dopo il 2001 il mercato globale potrà avere tre locomotive: un’America solida senza bolle né sgonfiamenti; un’Europa che lentamente si riforma e che trasforma in crescita duratura il suo enorme potenziale ora compresso; un Giappone fuori dai guai capace di fare da volano all’emergente mercato asiatico. Con la probabile ciliegina di un boom sudamericano. Al momento siamo in bilico tra i due scenari. L’unica cosa certa è che l’avverarsi dell’uno o dell’altro verrà decisa dal comportamento del mercato e dell’autorità monetaria americani nei prossimi mesi. Probabilità? Metà e metà, incrociamo le dita.