L’editoriale di Ernesto Galli della Loggia sul Corsera di martedì fa una apologia della visione neoaristocratica della sinistra. Devo citarne alcuni brani perché se li riassumessi non credereste che qualcuno, invece di preoccuparsi della degenerazione oligarchica della nostra democrazia, ne sia contento.
Scrive Galli: “Sabato nella piazza romana c’era il popolo della destra così come, naturalmente, c’erano i suoi capi. Ma tra l’uno e gli altri sembrava esserci il nulla. Sul palco o nelle sue vicinanze era assente qualunque rappresentanza significativa di questo o quel pezzo di società italiana. Non solo non c’erano gli attori e i cantanti o gli intellettuali, ma neppure esponenti della finanza e dell’industria, dell’alta burocrazia, del mondo del lavoro, dell’universo delle professioni: nulla, nessun nome”. Continua: “Per governare è necessario anche ascoltare i salotti, in certo senso perfino rappresentarli”. Conclude: “La destra…resta tuttora condannata ad una vera e propria solitudine politica che rimanda direttamente a una irrisolta solitudine sociale”. Queste parole rivelano l’adesione alla teoria del neo-oligarchismo, la cui catena logica è la seguente. La democrazia da a tutti il potere di voto e ciò rischia di dequalificare la politica rendendola permeabile all’ignoranza eccitata del popolo bue. Per tale motivo gli ottimati devono frapporsi tra gli elettori e le conseguenze elettorali. Una democrazia è qualificata quando l’influenza dei “Grandi elettori”, gli ottimati, è in grado di bilanciare o condizionare il voto dei piccoli. Una forza politica è legittima quando ha il sostegno dei “salotti”. Il centrodestra è illegittimo perché grandi finanza ed industria, scrittori, attori, scienziati e alti funzionari non testimoniano al suo fianco. Senza di essi il centrodestra può avere vittorie elettorali, ma non capacità di governo. Con questi al suo fianco, invece, la sinistra ha potere di governo indipendentemente dalle elezioni. L’analisi di Galli Della Loggia è realistica: l’Italia è una democrazia oligarchizzata. Ma nell’ansia di segnalare l’irrilevanza politica della manifestazione dei due milioni di “plebei”, per rassicurare la sinistra che questa non avrà conseguenze politiche, ha svelato il sostegno al modello neoaristocratico. E se lo ha fatto sul giornale che rappresenta il pensiero degli oligarchi italiani possiamo ipotizzare che questi segnalino alla sinistra con cui sono associati: tranquilli, anche dieci milioni di plebei in piazza non cambieranno le cose. Per tale motivo ho ritenuto significativo questo editoriale.
Come dovrebbe rispondere l’opinione pubblica che si ispira al popolarismo liberale? Per prima cosa, non irrilevante, possiamo identificarci con un nome all’opposto. Loro sono aristocratici, noi saremo orgogliosamente “plebei”. Ci dicono, di fatto, “popolo bue”? Che sia il bue, allora, il nostro emblema. E il loro? Scegliete voi. Ma, esaurita la reazione scherzosa, emergono l’indignazione e la preoccupazione. In Italia la sinistra ed i poteri forti hanno avuto interesse a siglare un patto perverso fin dalla fine del 1994. La prima era minoritaria, ma poteva offrire assoluzioni giudiziarie e strumenti legittimanti perché aveva occupato i relativi snodi di potere (magistratura, giornali e università). I secondi avevano in mano la finanza e la grande industria, ma erano a rischio giudiziario e senza più una copertura politica forte. Fecero il business: assoluzioni e riverginalizzazione in cambio dell’accesso al soldo. E un patto contro Berlusconiperché alimentava la sua leadership con il consenso di gente che voleva la fine delle oligarchie createsi nei decenni precedenti. In sintesi, la sinistra ha riciclato oligarchie indecenti rinominandole come “ottimati” ed in cambio queste hanno dato alla sinistra stessa il pezzo di potere che le mancava, ambedue cercando di condizionare la democrazia per non far prevalere la maggioranza di plebei. Siamo di fronte ad una degenerazione della democrazia che rende necessari atti rivoluzionari per ripristinarla. Ecco, questa è la risposta giusta.