Alla fortuna di Prodi corrisponde la sfortuna dell’Italia. Nel 1996 vinse le elezioni con la proposta che non bisognava cambiare niente. E così fece proprio nel momento in cui il globobang imponeva di cambiare tutto. Fino al 2000 l’economia italiana fu trainata dal boom globale, ma cumulando tali inefficienze per ritardo di adeguamento da farla cadere allo stesso tempo in una crisi competitiva strutturale. Che, per inciso, poi tagliò le gambe al governo Berlusconi lasciandogli un sistema disastrato. Ora la storia si ripete. Nel 2006 l’economia italiana è trainata da quella prorompente di Cina, India e Stati Uniti. Prodi ha la possibilità di usare questa fortunata contingenza per sostenere che la realtà non imponga rigore ed efficienza e così soddisfare le richieste irrealistiche della sinistra idealista per restare in sella. Ma se ciò accadrà l’Italia perderà nuovamente il treno e forse deraglierà con danni all’intero sistema europeo. Per evitarlo dobbiamo, intanto, capire bene questo punto.
Prodi spera che la crescita robusta duri anche nel 2007 per giustificare la non necessità di difficili riforme. Ma i dati mostrano che: (a) il traino della crescita globale potrebbe essere minore a causa di una possibile recessione americana; (b) l’aumento dei tassi dell’euro ne terrà alto il cambio penalizzando le esportazioni; (c) e aumenterà la spesa per ripagare il debito pubblico nonché quella delle famiglie per i mutui, ambedue fattori recessivi. In sintesi, non ci sarà lo scenario che Prodi vorrebbe. Infatti Draghi ha dichiarato sia che la crescita non è ancora consolidata sia che il pericolo di inflazione è elevato, cioè che non si può sperare nell’ interruzione del rialzo dei tassi da parte della Bce. Quindi il governo italiano dovrebbe cogliere l’opportunità del “buon 2006” per il riequilibrio dei conti ed una stimolazione economica forte per non rendere l’Italia stagnante e con la finanza pubblica in grave disordine nel 2007 e 2008. Questo è il motivo dei reiterati richiami da parte della Commissione europea (Almunia). Ma Prodi preferisce mettere a rischio l’Italia - e l’euro - piuttosto che rischiare la poltrona esercitando una leadership tecnicamente consistente che sfidi il ricatto della sinistra estrema. Non taglierà significativamente le tasse alle imprese né i loro costi sistemici, manterrà elevati quelli dello Stato e non farà operazioni “patrimonio contro debito” per ridurre il secondo. Lascerà che Visco recuperi attraverso tassazione selettiva contro la popolazione produttiva e sul delicato ciclo del capitale quei denari che potrebbero non venire più dall’aumento del Pil. E così innescherà una spirale depressiva per crisi di fiducia, in assenza di rigore contabile e senza alcuna misura di incremento della produttività. Questa volta non rischiamo solo una crisi competitiva nazionale, ma anche l’insostenibilità del nostro debito pubblico con un rischio prospettico, perfino, di destabilizzazione dell’euro. E ciò fa nascere una “questione Prodi” non solo italiana, ma anche europea. Un primo ministro dell’eurozona non può rischiare di destabilizzarla per interesse di potere personale. Schroeder rinunciò ad un’alleanza vincente con la sinistra estrema per evitare un governo divergente dall’eurocompatibilità. Berlusconi rispettò gli eurolimiti pur pagando un prezzo politico altissimo. Prodi se ne frega per cinismo irresponsabile e questo lo rende inidoneo. In inglese, per europeizzare la questione: unfit.