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Carlo A. Pelanda
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Carlo Pelanda: 2005-8-26il Giornale

2005-8-26

26/8/2005

Gioco di potere

Il riemergere della “questione centrista” non è certamente basato sui motivi dichiarati da chi la solleva, ma su altri che riguardano un gioco di potere reale. Molto opaco, non facile da leggersi in tutti i suoi dettagli, ma sufficientemente chiaro per porre una domanda all’Udc.      

Ho bisogno di una premessa di ambientazione prima di arrivare al punto. La sinistra può dividersi in tanti litigi, ma si ricompatta sempre per le cose importanti perché, nella sua configurazione post 1995, serve gli interessi di gruppi economici e di potere corporativo che, alla fine, la richiamano all’ordine. Il centrodestra, invece, non è strumento di poteri forti e di interessi organizzati. Berlusconi è un potere economico in se stesso e non è mai stato cooptato dagli altri che formano l’establishment italiano. Queste due caratteristiche combinate gli hanno permesso di generare e guidare una coalizione non condizionata, anche per la natura antiestablishment di Lega ed An, dalle oligarchie nostrane. Tale fatto, notoriamente, è la fonte della demonizzazione di Berlusconi perché il suo successo “divergente” ha ancora di più unito contro di lui i poteri e le corporazioni che hanno bisogno di burattinare la politica per mantenere il sistema consociativo e conseguenti privilegi. Nella sua azione di governo Berlusconi ha certamente tentato di attutire questo contrasto perché è difficile gestire un Paese avendo contro tutte le grandi banche ed imprese, giornali a queste collegate, nonché sindacati, magistratura, mondo universitario, penetrati fortemente dalla sinistra (post) comunista. Ma non ha mai ceduto fino al punto di arrendersi al consociativismo. Ed è per questo che l’establishment italiano tenta dal 1994 di eliminarlo dalla politica, senza soste. Anche perché Berlusconi, non essendoci alcun potere forte dietro la Casa, è l’unico che può darle compattezza e consolidarla, nel futuro, come partito unitario. Inizialmente le oligarchie finanziarie ed industriali, collegate con la sinistra DC, fecero il seguente contratto con i Ds e dintorni: vi diamo accesso al business, voi ci mettete al riparo da tangentopoli. Il business fu la gestione, diciamo, controllata di quasi trecentomila miliardi di privatizzazioni e nacque l’Ulivo. Ma, recentemente, il potere economico consociato tra oligarchie e sinistra si è diviso tra cordate in lotta feroce tra loro. Una di queste ha bisogno di uno scassone politico che indebolisca la finanza controllata dai Ds, per altro anch’essa litigiosa, per bilanciarla. Il punto: serve un “centro” da costruirsi prendendo pezzi di Forza Italia, forse dei Ds, che rinforzino la fusione tra Margherita e Udc al servizio di una cordata che poi vada, soprattutto, per banche, capace di nominare il governatore della Banca centrale, fare la politica europea che più serve, ecc. Ci sono anche altre varianti di tale ipotesi, ma tutte hanno bisogno di un nuovo partito di “centro”  e di prendere l’elettorato che manca dallo scioglimento di Forza Italia. Belrusconi, quindi, deve cadere non solo per l’antica ragione di essere anti-establishment, ma per una nuova: le sue risorse servono agli interessi di una delle oligarchie in lotta con l’altra. E questa oligarchia non può cooptare Berlusconi, non può fidarsi di un Prodi indebolito e teme, oltre che il potere economico dei Ds, i problemi dati dall’estrema sinistra.  

Temo che l’Udc sia entrato in questo gioco, o sollecitato da chi lo vuole usare strumentalmente oppure i suoi leader lo hanno visto come opportunità sia per liberarsi di Berlusconi sia per costruire maggiori opportunità per loro, alleandosi con metà del potere reale italiano. Certamente Casini e Follini, intelligenti ed esperti, non stanno estremizzando la loro divergenza destabilizzante solo per strappare qualche collegio in più nella coalizione, pur questo “Piano B”: perseguono una strategia.  Se non è quella qui ipotizzata, mi scuso, ma, a questo punto, dovete cortesemente dimostrarlo. Se, invece, è così o qualcosa di simile, finalmente, la domanda: ma pensate che ve lo lasciamo fare?

(c) 2005 Carlo Pelanda
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