E’ difficile scrivere della terra che è santa per tre religioni senza il sostegno di una mappa. Perché ogni pietra in essa ha un valore simbolico identitario per ciascuna. Ad uno studente che usava la Teoria dei giochi per determinare un compromesso tra israeliani e palestinesi sulla base di un calcolo razionale costi/benefici consigliai di farsi invitare alla cena dello shabat, il venerdì sera, da una famiglia ebrea osservante: due pezzi di pane, possibilmente sfornati a Gerusalemme, tagliati e distribuiti, meno una parte gettata via per ricordare la distruzione del Tempio, duemila anni fa. Gli sintetizzai anche un testo dell’antropologo De Martino, inizi del ‘900, dove questi ipotizzava che certi aborigeni australiani si portavano dietro un simbolo del centro del mondo per non sentire l’angoscia della migrazione. E che fermatisi in un nuovo territorio davano subito un nome ad ogni anfratto: simbolo, identità e terreno fusi in modo indissolubile. Lo studente capì che non poteva applicare la logica utilitarista a processi (geo)politici così carichi di simboli da rendere rigida la razionalità delle parti coinvolte. E disse: ”ma un compromesso, un dannato equilibrio, dovremo pur trovarlo per impedire che si scannino per l’eternità, tiri fuori lei l’idea visto che è il docente”. Balbettai un “teoria dei confini, la soluzione è da quelle parti”. Ma mai mi venne in mente. Ora mi sembra che Sharon stia attuando una raffinata “strategia di riconfinamento” per costruire un equilibrio altrimenti impossibile e vorrei leggere lo scenario con questa chiave.
La soluzione del conflitto con il metodo “terra in cambio di pace” ha un limite. Israele non potrà mai rinunciare al territorio simbolizzato che ne crea la nazione, percepita come l’unico luogo dove l’ebreo è salvo in un mondo che lo perseguita e uccide. Piuttosto, moriranno tutti combattendo. I palestinesi non potranno rinunciare allo stesso territorio per motivi identitari. Per tale ragione i due popoli sono difficilmente secolarizzabili: religione e territorialità sono le basi del loro esistere politico e non solo, scusatemi la frettolosità, credenze. Con queste premesse non è possibile alcuna pace, ma solo tregue tra una guerra e l’altra. Una cosa è stata cedere il Sinai all’Egitto in cambio di pace: si è scambiato un territorio relativamente scarico di simboli e, quindi, sottoponibile ad un scambio secondo la razionalità costi/benefici. Ben altra cosa è la cessione di Gaza, parte integrante della terra a più alto valore simbolico: è un pezzo dell’integrità di Israele. Gli analisti spiegano questa mossa secondo la razionalità normale. Costa troppo difendere i coloni ebrei in mezzo a milioni di palestinesi e quindi è meglio ripiegare. Inoltre gli americani premono su Gerusalemme per dare un successo al nuovo leader palestinese allo scopo di far prevalere internamente la sua politica moderata. Buone ragioni, certo, ma secondo me Sharon sta facendo molto di più e di più risolutivo: sta rielaborando il confine di Israele, rendendo più piccolo il territorio che chiamerei della “Israele essenziale”. In modo tale da lasciare un pezzo di terra ai simboli dei palestinesi. Se questa lettura è verosimile, allora lo scenario finale dovrebbe vedere i due Stati, Israele e Palestina, che non fanno alcuna vera pace (impossibile) ma dove ambedue possiedono un pezzo di terra simbolicamente rilevante che è sufficiente a soddisfarne il fabbisogno di identità. E dove il confine sarà rigidissimo: io di qua tu di la. Tale strategia di confinamento netto, in effetti, è l’unica soluzione realistica. Per la cronaca, il fatto che i coloni tolti da Gaza saranno ricollocati in altri insediamenti nella Cisgiordania a maggioranza palestinese non significa che il cosiddetto “imperialismo israeliano” continui. Vuol dire, invece, che Sharon sta tentando di ridurre il territorio simbolicamente rilevante per Israele, definendo un confine interno tra ciò che è essenziale per gli ebrei e quello che non lo è, nel secondo un nuovo spazio per i palestinesi: una strategia del doppio confine, interno ed esterno. Se così, generale Sharon, è un piano geniale.